di Mattia Papa
Sono centinaia i docenti universitari che, in poche ore tra il 4 e il 5 ottobre, hanno firmato il documento per la difesa e tutela della interculturalità, il superamento di razzismo e xenofobia partendo proprio dalle sedi della cultura e della tutela della formazione.
“Come docenti universitari/e vogliamo prendere una chiara posizione sulla legge in discussione al Senato della Repubblica che introduce alcune tutele minime per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei minori” hanno scritto nel loro appello che presenta la petizione. “Si tratta di una proposta di legge che riconosce il valore fondante della scuola per costruire il pieno sviluppo di ciascuna persona e l’effettiva partecipazione di tutte e tutti all’organizzazione sociale, culturale, politica ed economica dell’Italia. Non approvare questa legge significherebbe alimentare il razzismo che attraversa la nostra società”.
L’appello fa eco ad uno simile, mosso da docenti delle scuole ed educatori (si veda il Manifesto del 19 settembre scorso) e fa stupore notare, che proprio nelle ore in cui l’attenzione sull’Università italiana è ai massimi livelli (nell’ultimo anno ricordiamo gli arresti presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, la denuncia del ricercatore fiorentino sui concorsi dell’ASN, lo sciopero dei docenti per gli scatti stipendiali), i docenti stessi si rendano partecipi di un dibattito di rilevanza nazionale che prescinda dai propri interessi di casta o di tutela per scandali interni.
“Noi che lavoriamo nelle università – scrivono – pensiamo che le nostre studentesse e i nostri studenti, che sono nati in Italia da genitori stranieri o sono arrivati in Italia da minori e qui hanno frequentato le scuole, debbano aver il diritto di ottenere la cittadinanza”. E continuano: “nelle aule universitarie nessuno deve sentirsi straniero/a, tutte e tutti devono poter studiare con la stessa speranza di futuro”.
Sarebbe bello poter credere che nelle università stia ritornando un livello di dibattito tale da far prendere posizione in maniera forte e decisa in relazione all’orientamento politico italiano; che si stia andando verso un livello di discussione attiva che promuova le idee di docenti, ricercatori, studenti, dottorandi, personale t.a. come unica componente del mondo della formazione universitaria, e che sappiano influire nel dibattito politico del Paese.
Cosa complessa, forse impossibile. Generalizzare e armarsi di retorica in casi come l’epoca delle fake news non è sano né funzionale alla risoluzione e la trasformazione della società. Ma potrebbe non essere retorica, potrebbe non essere poi così complesso declinare gli interessi di classi così diverse, eterogenee (si pensi le diverse estrazioni sociali a cui appartengono gli studenti universitari), alla luce di un’analisi più ampia del nostro tempo. Un’analisi che abbia chiaro che la “classe” è composta da chi appartiene e vive le stesse condizioni di sfruttamento, per quanto diverse e ricche di sfumature siano le condizioni economiche di provenienza e di appartenenza, che non fanno altro che esacerbare i conflitti particolari e la cosiddetta “lotta tra poveri”. E se le condizioni di sfruttamento sono le stesse, le ragioni per unirsi dovrebbero prevalere su dispute interne e irrazionalismi dati dai caotici vortici di precarietà in cui ogni giovane è coinvolto. Potrebbe essere un punto di partenza, un punto di svolta. O forse solamente un sogno.