di Marco Chiappetta
TRAMA: Derry (Maine), 1988-89 – La scomparsa del piccolo Georgie (Jackson Robert Scott), ultima di tante avvenute a spese dei giovani locali a opera di un diabolico e feroce clown, Pennywise (Bill Skarsgard), che vive nelle fogne, induce il fratello maggiore Bill (Jaden Lieberher), insieme a un gruppo di amici ragazzini sfigati – lo spavaldo Richie (Finn Wolfhard), il grasso Ben (Jeremy Ray Taylor), il nero Mike (Chosen Jacobs), il complessato Eddie (Jack Dylan Grazer), l’ebreo Stanley (Wyatt Oleff) e una ragazza, Beverly (Sophia Lillis), di cui sono quasi tutti innamorati – a cercare la verità, che li porterà a fronteggiare non solo il mostruoso clown ma soprattutto le loro paure più grandi.
GIUDIZIO: Diretto dall’argentino Andrès (Andy) Muschietti, l’adattamento cinematografico del celebre romanzo di Stephen King, per molti il suo capolavoro, portato già sul piccolo schermo nel 1990 con una miniserie di due episodi, a partire dalla nuova ambientazione temporale (gli anni ’80, in cui il romanzo si concludeva, al posto della fine anni ’50 in cui iniziava) e dallo sguardo infantile (lasciando la crescita dei personaggi ai futuri, inevitabili sequel) omaggia, come l’omologo fenomeno contemporaneo “Stranger Things” (di cui condivide finanche uno dei protagonisti, Finn Wolfhard), l’iconografia di quella decade, tra citazioni cinematografiche (l’ovvio “Stand By Me”, sempre tratto da King, “Nightmare”, “I Goonies”, etc.) e musicali nostalgiche, adagiandosi per il resto a fare un compitino superficiale per quanto riguarda la narrazione e lo spettacolo, gradevole sì, ma convenzionale e codificato all’insegna del conformismo più prevedibile, tra scene madri e atmosfere già viste, effetti sonori già sentiti, effetti speciali non più sorprendenti: si sobbalza, sì, ma non ci si spaventa quasi mai, e i momenti di pathos, romanticismo e leggerezza, pensati per una maggiore eterogeneità, sono goffi e macchinosi. Lo schematismo dei personaggi, molto politicamente corretto (tutte le minoranze sono soddisfatte, dal nero all’ebreo, dal malato alla donna abusata, senza dimenticare l’imprescindibile tenerissimo ragazzino obeso), è privo di anima e di empatia; la violenza e la crudeltà dei cattivi (specie dei ragazzi più grandi) risulta programmatica e ferocemente ingiustificata; il mistero legato a Pennywise, villain appariscente ma non troppo carismatico, insoluto in una solfa fantastica brodosa. Per tutto il resto c’è (forse) il sequel, annunciato da un finale di transizione, dove, in barba al fatto che l’89 fosse l’annus terribilis dell’AIDS, i giovani protagonisti si scambiano un segno di sangue per cementare un patto e un’amicizia, prima che l’inattesa scritta “Capitolo Uno” congedi il film per la gioia dei produttori che hanno sia un uovo oggi che una gallina domani.
VOTO 2,5/5