di Marco Chiappetta
TRAMA: Vita quotidiana effimera e anaffettiva dei Laurent, disfunzionale famiglia borghese di Calais: l’anziano capofamiglia Georges (Jean-Louis Trintignant) desideroso di morire il prima possibile; la figlia Anne (Isabelle Huppert), che ha preso le redini del suo impero edilizio e deve gestire lo sciroccato figlio trentenne Pierre (Franz Rogowski), responsabile di un incidente al cantiere; il figlio Thomas (Mathieu Kassovitz), chirurgo, marito infedele di Anais (Laura Verlinden), che accoglie con sé in casa la figlia tredicenne del suo primo matrimonio, Eve (Fantine Harduin), masochista e fragile.
GIUDIZIO: Pur senza quella brillantezza e quella tensione narrativa dei suoi migliori film, l’opus n° 12 di Michael Haneke è un altro tassello superbo della sua filmografia, del suo universo algido e gelido di famiglie borghesi disfunzionali, un’altra disturbante elegia della violenza, psicologica, sociale, ipodermica, in seno alla società occidentale. Ambientato non a caso nella Calais dei migranti (che però appaiono brevemente, come contorni), è un film spiazzante, senza evoluzioni narrative, perché solo i personaggi sono già dei racconti a sé, dei microcosmi di disumanità, follia, meschinità, dal più anziano al più giovane. Sembra fatto di niente, ma è un film illuminante sui nostri tempi e sull’essere umano, con annesso uno studio sul mezzo video e sui media (uno dei temi preferiti dal cineasta austriaco) alquanto dirompente. Tutto poi è messo in scena con il solito rigore estetico, senza musica, senza sbavature, gelido come i suoi personaggi, eppure pregno di una malsana ironia nera che stempera ogni atrocità.
VOTO: 3/5