di Marco Chiappetta
TRAMA: Baltimora, 1962 – Elisa Esposito (Sally Hawkins) inserviente muta e schiva di un laboratorio governativo, con al mondo solo l’amicizia della collega nera Zelda (Octavia Spencer) e del vicino gay Giles (Richard Jenkins), resta affascinata da una creatura anfibia (Doug Jones), catturata in Amazzonia, su cui il feroce colonnello Richard Strickland (Michael Shannon) conduce sanguinosi esperimenti. Elisa lo va a visitare di nascosto, portandogli del cibo, insegnandogli la lingua dei segni e la musica, ma quando scopre che il governo intende vivisezionarlo per superare nella scoperta l’URSS, con l’aiuto di Zelda, Giles e del dottor Hoffstetler (Michael Stuhlbarg) lo porta a casa sua instaurando un amore, prima platonico e poi fisico, lontano da un mondo violento che gli dà la caccia.
GIUDIZIO: Visionario e romantico, volutamente manierista e fumettistico, il film di Guillermo Del Toro, Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia, è un aggiornamento dei B-movie anni ’50 – in particolare di una pietra miliare come “Il mostro della laguna nera” di Jack Arnold – sublimato da una regia, da un uso degli effetti speciali e da una abilità narrativa assolutamente magistrali. Certo non nuovo nella trama, ennesima storia d’amore tra la bella e la bestia (seppur con un finale coraggioso e originale), e finanche un po’ superficiale nell’eccessiva caricatura dei personaggi di contorno (la nera chiacchierona e vivace, il vicino dolce e – scopriamo – anche gay, il cattivo davvero cattivissimo), forse un po’ lungo e fitto di dettagli superflui di mera scenografia narrativa, il film è una festa per gli occhi (fotografia di Dan Laustsen), per le orecchie (musica incalzante e toccante di Alexandre Desplat) e per il cuore, con alcuni significativi momenti di vera poesia che da soli bastano a giustificarne la visione, tra cui: Elisa e Giles che sul divano muovono i piedi a ritmo di musica e tip tap; la goccia di pioggia sul finestrino del bus; Elisa che trova la creatura nel cinema sottostante; Elisa e la creatura che flottano nel bagno; il siparietto musical in bianconero (autentico colpo di genio) e lo struggente finale, inno all’amore più puro. Seppur con una patina “industriale” e un’indubbia furbizia nel confezionare il solito apologo sulla diversità, il film vale per come Del Toro gioca col cinema e con la sua storia, firmando difatti una favola romantica muta come i suoi protagonisti, come il cinema più autentico, affidando l’incanto e la magia unicamente alle immagini e all’alchimia tra Sally Hawkins, eccelsa, e Doug Jones, umanissimo dietro il sensazionale trucco che lo rende tenero e mostruoso. Nel cast, oltre alla Hawkins, spicca un immenso Michael Shannon, incarnazione della banalità del male e dell’assurdità della violenza.
VOTO: 3,5/5