di Marco Passero
Un tempo era Aleppo, con un assedio terminato in un bagno di sangue poco più di un anno fa. Attualmente il regime di Assad e l’alleato russo concentrano, invece, le loro barrel bombs (lanciate dagli aerei in volo sulle città) sulla Ghuta orientale, una delle regioni da cui è partita la rivoluzione e zona divenuta tristemente nota per le circa 1700 vittime del gas sarin nell’attacco chimico del 21 agosto 2013, quando il presidente siriano decise di violare la linea rossa tracciata da Obama.
Oggi corrispondenti internazionali ed osservatori sul campo sollevano un coro unanime, parlando senza mezzi termini di “sterminio” e “genocidio” per dare un appellativo agli orrori di un regime che affama la propria popolazione e prende di mira gli ospedali. Il timore è che, in uno scenario che ricorda molto il massacro di Srebrenica del 1995, il dramma siriano possa andare incontro allo stesso destino della guerra in Bosnia-Erzegovina, in cui la condanna al comandante dei serbo-bosniaci Ratko Mladić è arrivata dall’Aja ben ventidue anni dopo.
“Assad sta violando tutte le regole del diritto internazionale umanitario, esattamente come l’organizzazione Stato islamico”, scrive la giornalista e ricercatrice esperta di Medio Oriente Catherine Cornet, e in effetti la comunità internazionale sembra incapace di reagire a un dittatore che viola apertamente e continuamente provvedimenti internazionali come la cosiddetta responsibility to protect contenuta nella dichiarazione delle Nazioni Unite nel 2005. I dati sono a dir poco allarmanti – sul totale di circa 18 milioni di siriani, 13.5 hanno bisogno di assistenza umanitaria, 6 milioni sono sfollati internamente e 5 hanno abbandonato il paese – e nella comunità internazionale il problema è duplice: tra i tanti migranti che provano a raggiungere l’Europa via mare, e di cui nessuno sembra riuscire a occuparsi o volersene occupare, molti sono proprio siriani pronti a tutto per fuggire da Assad, e al tempo stesso un intervento dell’Occidente appare da screditata dalle operazioni statunitensi in Afghanistan, Iraq e Libia.
In tutto ciò, tra tregue violate e infrastrutture vitali che diventano bersagli, il mondo si lava la coscienza chiedendo ai siriani di non perdere la speranza. Proprio quel mondo che si mostra costantemente sordo dinanzi a urla incontrollate e a silenzi ancor più assordanti