Quello che sembrava un gioco perfetto e funzionante, dopo qualche mese, finì per rompersi diventando molto meno divertente. Non fu colpa né mia né di Francesca, semplicemente io non mi ero accorto che lei non era felice quanto lo ero io. Ma sono cose che nella vita accadono continuamente e molto tranquillamente si andò avanti. Venne così il giorno della festa di Alice, finalmente anche lei maggiorenne (laddove i più grandi del gruppo, come me, si affacciavano ai vent’anni); io, Raffaele, Daniele, Guido, Paolo e Strato le regalammo un vibratore. Lo scegliemmo la mattina del suo compleanno con molta cura: c’erano quelli bianchi e quelli neri, optammo per uno bianco: “La ragazza è casareccia” fu la risposta di Raffaele al proprietario del Sexy Shop dove eravamo andati a far compere. La sera ci sarebbe stata la festa e, dopo una settimana in cui non l’avevo proprio sentita, avrei rivisto Francesca. La mia reazione di fronte a questa cosa fu particolare. Scoprì che non mi interessava, avevo cercato di farle capire che si poteva tornare amici provando a contattarla di tanto in tanto, ma avevo ricevuto solo risposte da era glaciale in cambio, quindi avevo, ormai, deciso di lasciarla perdere anche come amica.
Eravamo tutti fuori al locale, tutti un po’ contrariati, ognuno per un motivo proprio e diverso. Paolo portò una bottiglia di vino da bere prima di entrare, giusto per darci una parvenza di allegria, perché compiva gli anni Alice, e non dovevano esserci facce grigie.
E questo fu lo sbaglio. Era una settimana che non mi sentivo molto bene, accumulando stress avevo ridotto la freschezza della mia salute, e quei due o tre bicchieri di vino contribuirono a quello che accadde. A metà serata cominciai a sentirmi male, ma talmente male che la serata all’Edenlandia in confronto mi sembrò una passeggiata di salute. Giorgione mi aiutò ad arrivare alla macchina di Daniele, riuscivo a malapena a respirare e facevo uno sforzo enorme per restare cosciente. Ricordo l’immagine di Biagio attraverso il finestrino che stringeva forte il pugno facendomi segno di tenere duro. Daniele, Raffaele, Guido e Michelino mi accompagnarono in ospedale; stringevo la mano di Raffaele forte per mantenere un contatto con la realtà e lo pregavo di non lasciarmela nemmeno per un momento. Ricordo la velocità dell’auto lanciata in una corsa verso il Fatebenefratelli, le parole di Giorgione che tentava di tranquillizzarmi mentre di peso mi aiutava a salire le decine di scalini che separavano il locale dalla strada. Ricordo il pugno stretto di Biagio, la mano amica di Raffaele e il viso preoccupato di tutti gli altri. Mi fecero due flebo questa volta. Daniele provò a chiamare Francesca, avevo avuto talmente tanta paura che pensai: se quella doveva essere un’occasione per farmi capire che avevo bisogno di lei, beh, allora la volevo vicino a me e così lui, capito il mio stato d’animo, decise di chiederle di venire.
Quella sera Francesca non venne e dire che ero arrabbiato sarebbe una bugia. Ero semplicemente deluso. Avevo in mente vivido il ricordo delle volte in cui l’aiutai perché aveva bevuto troppo e stava male, e adesso che capitava a me, beh, lei non era lì.
Il mattino dopo mi sentivo già molto meglio, avevo un ottimo programma per la giornata: sarei andato a farmi una corsetta, giusto per far respirare il corpo, poi avrei chiesto scusa ad Alice per l’incidente capitato alla sua festa, infine avrei invitato tre o quattro amici da me, la sera, per vedere un film. Tornai dalla corsa verso mezzogiorno, avevo coperto con le scarpe l’intera strada in cui abitavo, e mentre nel bagno già scorreva l’acqua della doccia che mi accingevo a fare, mi concessi qualche minuto su Facebook. Fu così che trovai una mail di Francesca. Non era una mail in cui mi chiedeva se stavo bene, non era in generale una mail di cortesia. C’erano tante frasi offensive, tante parole che non sembravano uscite dalla stessa persona con cui fino a poco tempo prima dividevo le mie giornate; mi rimproverava e mi rinfacciava il comportamento della sera precedente, mi accusava di essermi ubriacato e di aver cercato di rovinare la festa attirando l’attenzione su di me. Mi chiedevo quale mia azione, durante la festa, fosse stata tanto criminale: forse mi ero sentito male in maniera volgare, ero, chessò, poco consono al galateo, o forse la visione di una persona che sta poco bene aveva urtato la sensibilità dei presenti. Fatto sta che in quel momento la mia mente cerchiava con il pensiero alcuni passi di quella mail e li raffrontava a frasi che, fino a una settimana prima, Francesca indirizzava al sottoscritto: “Dopo la serata di ieri è meglio che non ti fai vedere proprio più da nessuno, perché nessuno ti vuole più” (“Sono convinta che io e te litigheremo spesso ma che alla fine resteremo sempre insieme”); “non meriti niente, sparisci dalla circolazione” (“ho sognato che avevamo una bambina, la chiamavamo Alice, e facevamo il giro di tutti i parenti per farla vedere”); “dimenticati di quei mesi che purtroppo abbiamo passato insieme” (“ho fatto un sacco di pazzie per stare con te”); “sei lo zimbello della città, fai ridere tutti! Ti senti potente ? Ti senti artista… non lo sei, sei solo un fallito” (“spero di fare felice te come tu stai facendo felice me”); “Non mi costringere a fare sparate perché io sono una signora, e vai a cagare” (“è bellissimo trovare i tuoi sms quando mi sveglio la mattina”). La mail finiva con un’intimazione di non andare a cantare al concerto della vecchia scuola in cui stavo (concerto al quale andavo da tre anni) perché ora che lei ne era rappresentante non lo avrebbe permesso.
Dieci minuti dopo aver letto quella lettera, Francesca mi chiamò per ripetermi le stesse cose attraverso il telefono. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere e comunque stranamente non avevo nemmeno odio sufficiente per poterlo fare. Semplicemente pensavo a come una persona può cambiare rapidamente anche nell’anima, e mi chiedevo (citando uno dei miei cantanti preferiti) “come faccio a dire al mondo intero che noi due da questa sera non ci conosciamo più”. Verso le nove sarebbero arrivati Paolo, Strato, Massimo e Guido per vedere un film, così seppellì per sempre Francesca sotto i ricordi migliori, cancellai dalla mente le ultime cose brutte, e mi misi alla ricerca del dvd che volevo sottoporre ai miei amici.
Si trattava di un disco masterizzato da me al cui interno c’erano tre film, quello che volevo far vedere agli altri era “Un amore sotto l’albero”. Cercai in tutti i raccoglitori e non fui capace di trovarlo, quando all’improvviso mi ricordai che lo avevo prestato proprio a Francesca.
“Non so quante volte le avrò ricordato di ridarmelo” pensai arrabbiato “ora mi devo rimettere a scaricare tutti i film che c’erano dentro!”. E fu in quel momento che mi venne in mente una frase di una canzone di Pino Daniele che dice: “Ho bisogno di te almeno un’ora… per dirti che ti odio ancora!”