di Brando Improta
Arrivarono giornate particolari: è molto complicato reinventare da capo il tempo libero a disposizione, quando fino a poco prima in quei momenti avevi sempre una persona accanto. Ancora più complicato è razionalizzare sulla classica frase che spesso ci si sente dire: “Non voglio vederti mai più”. Io penso che non riuscirei a dire a una qualsiasi persona una frase del genere, il mai più comprende un’infinità di tempo, significa chiudere in una scatola tutti i ricordi (belli o brutti che siano) di un periodo, e buttare il tutto nella discarica più vicina.
Significa anche ripensare con una certa quantità di odio o rancore ai favori e alla disponibilità che un tempo c’era verso una persona, e sono convinto che l’odio non sia mai una buona forma di distacco. Non c’è civiltà nell’odio, l’odio rende gli esseri umani nulla più che semplici animali.
Avevo due esami di fronte a me e quindi decisi di darci dentro con l’università: cominciai a mangiare là, studiavo nelle ore di spacco che c’erano fra un corso e l’altro, mi raccontavo insieme ai nuovi amici che avevo conosciuto alla facoltà di scienze della comunicazione.
Un giorno, mentre entravo nella funicolare pronto a fare il solito tragitto di tutti i giorni, vidi un volto noto, seduto proprio nel posto accanto a dove mi ero posizionato io.
Un uomo sulla sessantina, con i capelli brizzolati e un libro fra le mani, pieno di appunti ai margini delle pagine. Non vedevo quella persona da quattro anni, me ero completamente sicuro di chi fosse, per questo gli misi una mano su un braccio e dissi: “Gegè…”.
Gegè, il mio vecchio insegnante di Judo, che nel corso degli anni era diventato anche un amico per me, mi guardò per qualche secondo, come a voler inquadrare un volto che era profondamente cambiato negli ultimi anni.
Finché mi riconobbe e disse: “Brando… quanto tempo che è passato!”.
“Troppo… come va ?”, risposi.
“Bene, l’età aumenta e non favorisce più molte cose, ma va bene”
“Insegni sempre educazione fisica ?”, gli chiesi guardandolo negli occhi.
“Si, quello mi piace. Invece alla scuola dove stavi tu mi hanno definitivamente tolto il corso pomeridiano di Judo”, fece lui con aria rammaricata.
“E perché ?”, feci io.
“Un fatto di interessi, ero in concorrenza con il corso di pallavolo, e visto che quello lo teneva un professore interno della scuola…”
“Hanno dato priorità alla pallavolo…”, dissi io, concludendo la frase.
“Esatto… Tu cosa stai facendo ora ?”, intervenne lui.
“Eh per me ora è un periodo un po’ particolare, ho iniziato Scienze della comunicazione, ché come sai vorrei diventare un regista… però è anche successo che…”
Raccontai a Gegè di tutto l’episodio riguardante Francesca, quello che avevo fatto ad Eugenio e quanto era successo alla festa. Mi venne molto facile parlarne con lui, anche se era tempo che non ci vedevamo, era stato comunque un amico.
“E tutto questo che ti è successo… ti spinge a deprimerti e a mollare o a lottare ancora di più e magari incazzarti anche ?”, esordii lui dopo avermi ascoltato.
“Sicuramente a lottare… E si, sono anche incazzato, soprattutto per il fatto che non vuole farmi andare al concerto…” dissi io, poi continuai “Tanto farò che sarò su quel palco, e una volta sopra ci farò anche le capriole!”
“Bene… è la risposta che volevo sentire, e poi l’amore è la cosa più difficile da trovare, sai quante volte capita di non essere ricambiati abbastanza! Hai mai visto “Luci della città”?”, mi chiese il mio vecchio maestro.
“Come no… con Chaplin che s’innamora di quella ragazza bellissima ma cieca…”
“Già… e le paga l’operazione per farle tornare la vista, poi però non si fa avanti pensando di non essere alla sua altezza. Quella è poesia: amore disinteressato, fare una bella azione solo per amore senza volere nulla in cambio!”, mi avvisò.
“Si… è molto bello…”
Intanto il tragitto in funicolare era finito e ci eravamo spostati a parlare alla fermata del C16 a Mergellina.
“Ti posso dare un consiglio ?”, mi chiese tutt’un tratto.
“Certo…”
G: “Te lo dico come se fossi mio figlio: tu che vuoi fare il regista, prendi un biglietto all’anno e viaggia. Ma no in posti come la Francia o l’Inghilterra, vai in Africa, vai in Sud America. Fatti tutti i Sud del mondo, incontra quelle realtà. Credimi, io ci sono stato e sono cose che ti insegnano molto. Avrai molto materiale per le tue pellicole, già ora ti vedo cambiato, sei tutta un’altra persona, ti manca solo questo e sarai completo”
“Lo farò” gli risposi “Ecco il pullman, ora devo andare. Grazie davvero”
“Grazie a te che mi hai riconosciuto e mi hai parlato, molte persone evitano di riconoscere il loro passato…”, mi disse salutandoci.
Ci abbracciammo come se fossimo familiari che si incontrano tutti i giorni, poi presi il mio autobus per l’università. Ero contento di aver dato sfogo ai miei problemi con uno dei punti di riferimento della mia adolescenza, anche perché se c’erano voluti quattro anni per incontrarci nuovamente, pensai che forse quattro anni dopo ancora non sarebbe stato possibile.
Mentre ero impegnato con il corso di inglese, avevo difficoltà a togliermi dalla testa le ultime parole di Gegè: “Prendi un biglietto: Sud America”. A fine lezione avevo deciso dove io e i miei amici avremmo passato la notte di Capodanno.