di Brando Improta
Ero andato a dormire con l’idea del Sud America in testa, l’idea di un viaggio che avrebbe spazzato via qualsiasi malumore e cementato rapporti di amicizia che spesso sfioravano già la fratellanza. Quando mi svegliai ero più chedeciso. Raggruppai nel giro di una settimana un plotone di prodi che avevano voglia di esplorare e divertirsi, stabilimmo i giorni in cui saremmo stati via: potevamo permetterci soltanto cinque giorni per stare lontani da Napoli e furono scelti quelli fra il 29 di dicembre e il 3 di Gennaio dell’anno che stava per iniziare. La meta del nostro viaggio (rigorosamente in aereo) sarebbe stata Caracas nel Venezuela.
Avevamo scelto un posto diverso dalle classiche mete turistiche (Rio, Buenos Aires, Brasilia eccetera) sia perché non era nostro interesse essere turisti ma viaggiatori – volevamo esplorare e comprendere quel posto e non visitarlo soltanto – e sia perché era una delle mete di Ernesto Guevara nel viaggio da lui stesso descritto ne “I diari della motocicletta”.
Qualche giorno prima della partenza mi chiamò Chiara, la mia migliore amica, la quale aveva saputo della nostra partenza e voleva capire meglio cosa c’era dietro.
“Brando… perché ?”
“Perché cosa ?”, le risposi.
“Perché andate a festeggiare il nuovo anno in Brasile?”, insisteva lei.
“Noi non andiamo in Brasile…”
“Non andate a Caracas?”, fece Chiara con voce dubbiosa.
“Si…” e continuai “Ma è nel Venezuela…”
“E vabbè, sempre là stiamo!”
“Insomma… ma come l’hai saputo?”, le chiesi io.
“Lo sanno tutti! Ma perché andate là? Non si usa più restare a Napoli? O quanto meno in Italia?”
“A Napoli dovremmo vedere un certo tipo di persone e fare un determinato numero di cose che ormai si ripropongono come rituali ogni anno, là invece siamo solo noi e una nuova aria da respirare”, le spiegai semplicemente.
“Ok… ti sei ammattito del tutto adesso… comunque devo ridarti ancora la tesina!”, mi disse improvvisamente.
“Ah già… tienila bene che ci tengo, è una delle cose che ho fatto meglio”
“Ti ricordo che non ti presentasti al mio esame di Stato! Con tutto che stavo usando la tua vecchia tesina!”, sbottò lei con tono offeso.
“Ancora con questa storia? Lo so che ci tenevi, ma io stavo andando a Sperlonga a trovare Daniele quel giorno! E poi…” feci una pausa “C’è un’altra cosa che non ti ho mai detto”
“Cosa ?”
“Te lo dico tanto ormai fa lo stesso… Francesca mi disse che era gelosa e che se mi presentavo al tuo esame di Stato poi me la vedevo con lei”
Fu una spiegazione accettabile per Chiara, e lo doveva essere anche perché era vera. Ripensando lucidamente a quello che accadde il giorno del suo esame mi resi conto che ero stato stupido a non andare. Potevo tranquillamente andare a Sperlonga il giorno dopo o quello prima, mi ero semplicemente fatto mettere i piedi in testa da Francesca, e questo non lo avrei permesso più.
Il giorno dopo eravamo tutti riuniti per fare l’inventario delle cose che ci saremmo portati in quella trasferta, i miei compagni di viaggio sarebbero stati: Raffaele (per convincerlo avevo detto che le ragazze di Caracas erano tutte ninfomani), Strato (il primo ad accettare, aveva già in mente di partire da solo o in compagnia!), Vito (la sua risposta fu particolarmente eloquente: “Cazzo nel culo, vengo eccome”), Paolo (come poteva mancare il sinistroide estremo del gruppo proprio quando andavamo in uno dei luoghi in cui aveva messo piede Che Guevara), Daniele e Guido (entrambi, tifosissimi del Napoli, si erano portati una quantità imprecisabile di oggetti e ammenicoli con i quali avrebbero pregato tutte le notti rivolti a San Lavezzi e San Cavani), Simone (per convincerlo a non stare con la neofidanzata a Capodanno dovetti promettergli di riportarlo a Napoli in tempo per il loro mesiversario), Biagio (per convincerlo a non stare con la fidanzata a Capodanno dovetti promettergli che non sarebbe tornato in tempo per l’anniversario). Tutti gli altri che convocai, chi per un motivo e chi per un altro, non erano disposti a partecipare alla nostra avventura.
Il momento dell’inventario fu un qualcosa di straordinario, eravamo seduti in cerchio nel mio salotto e cominciammo a elencare il contenuto dei nostri bagagli. Strato si era messo in valigia una moltitudine impressionante di sciarpe, di tutti i colori e tutte le lunghezze, un paio sono sicuro che potevano perfettamente coprirlo dalla testa ai piedi; Daniele e Guido fecero a gara mostrando gli articoli più strani aventi la Società Calcio Napoli per logo, vinse Daniele che cacciò un aggeggio che serviva a grattare i peli del sedere nelle parti più inaccessibili, il logo era leggermente logorato; Vito aveva tutta la collezione dei fumetti dell’Uomo Ragno e Biagio ne rubò un paio mentre non guardava, si era appena accorto infatti di non aver portato carta igienica; Paolo si era portato l’inseparabile chitarra e un taccuino che usava per scrivere frasi o esperienze che gli erano rimaste impresse; Simone aveva fatto una ricarica multimiliardaria per parlare con la fidanzata, con sé aveva tutte le foto che li ritraevano insieme (circa un migliaio); Raffaele, il più pittoresco, aveva uno zaino interamente riempito con dei preservativi.
Io avevo portato semplicemente indumenti e un libro da leggere, “L’enigma del solitario” di Jostein Gaarder. Lo avevo già finito due volte, ma essendo il mio romanzo preferito, ero ben disposto ad arrivare all’ultima pagina anche per la terza volta.
Le stanze prenotate erano tutte doppie, le coppie erano state stabilite da me e Strato per evitare problemi: io avrei dormito con Simone, che era il più tranquillo, anche se aveva la mania di parlare almeno fino alle quattro del mattino. Strato si era scelto come compagno di stanza Paolo, si intendevano bene ed erano entrambi persone equilibrate. Daniele avrebbe sopportato Raffaele, nella speranza che quest’ultimo non decidesse di finire i preservativi usando lui come cavia. Guido avrebbe invece trascorso le notti con Vito, ma almeno per lui i “cazzi in culo” sarebbero stati solo letterali. Biagio, invece, era l’unico per il quale era stata presa una stanza singola, che si trovava in un corridoio diverso dal nostro. Il motivo ? Russava in una maniera incredibile.