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Quando gli studenti coprono il proprio volto

di Ilaria Giugni

Poche ore prima delle votazioni al Senato per l’approvazione del ddl Gelmini sull’università, gli studenti italiani inondano le strade per manifestare ancora una volta il loro dissenso alla proposta di legge del Pdl. Dopo il 14 dicembre, giorno di scontri nella capitale, gli studenti abbandonano le scuole e le università occupate per riversarsi nuovamente in lunghi cortei nei centri dei capoluoghi.
A Napoli l’aria è tesa, moltissimi sono gli studenti che sfilano nel corteo a volto coperto, tanti i lanci di petardi. Addirittura alcuni vengono scagliati per incendiare volutamente cassonetti dell’immondizia.
Eppure questa coltre pesante, così come un’importante partecipazione, era già prevista da ieri. Proprio quanto avvenuto a Roma una settimana fa si preannunciava come il preludio di manifestazioni non più festose e del tutto pacifiche del dissenso degli studenti.
E così è stato. L’intolleranza dimostrata nei confronti delle figure istituzionali, quali gli agenti di polizia, esprimono il rifiuto deciso di moderare i toni. Ad emergere è l’impossibilità di rimanere lucidi. Più di una persona, prima ancora che la manifestazione abbia inizio, esclama: “Oggi finisce male, ci saranno le mazzate!”, molto spesso nella convinzione che ciò sia necessario perché qualcuno ascolti il dissenso. Ebbene è tutto qui, nella voglia di emergere ad ogni costo, che mette in secondo piano le voci propositive e moderate. E’ del tutto assente la consapevolezza di essere in un preciso disegno, nessuno riconosce che l’escalation di questi giorni sta facendo il gioco di qualcun altro, di coloro contro i quali si manifesta.
Gli studenti sono lì, ciechi, intenti a demolire qualsiasi voce contrastante, tanto che Roberto Saviano viene attaccato persino nella sua Terra.
L’episodio che fa pendere la bilancia a sfavore dello scrittore è la lettera aperta agli studenti da lui inviata a Repubblica, all’indomani degli scontri di Roma. Saviano aveva invitato a ripudiare la violenza, a non giustificarla con l’alibi della rabbia generale, a stigmatizzare il comportamento di una minoranza di facinorosi che rischiavano di abbrutire una protesta pacifica. D’altronde, aveva ricordato, chi cammina sospinto da un’idea non ha bisogno di coprirsi il volto, di assalire una camionetta della polizia per mostrare la forza del proprio pensiero. Niente di più preciso. In un momento come questo, niente è più importante di rimanere lucidi, di ricordare che non è ripagando con la stessa moneta che si vincono le battaglie. E quindi non la sopraffazione, non la prevaricazione, non la violenza, ma la strenua resistenza delle idee.
Altrimenti si finisce per scadere in una dimostrazione di forza bruta che in nessun modo può esprimere quello che c’è, o almeno dovrebbe esserci, alla base della contestazione: la convinzione che sia assurdo tagliare sull’istruzione. La consapevolezza che non si può minare il percorso di chi decide di dare un apporto fondamentale al nostro Paese, rimanendo all’università per la ricerca.
Eppure, ciascuna idea rischia di essere scardinata o lentamente minata dalla perdita della lucidità, da una parola o un gesto di troppo. Speriamo che gli studenti lo tengano a mente.