di Gianmarco Botti
Siamo ormai alle porte del Natale. Come ogni anno assistiamo alla processione dei simboli tipici della festività. Panettoni, pandori, dolciumi d’ogni sorta affollano le pasticcerie già da settimane; carta colorata, pacchi, pacchetti e pacchettini pronti a rivestire e contenere i doni che troveremo sotto l’albero; luci variopinte, festoni, agrifogli e pungitopo per le strade, nei negozi, nelle case. Qua e là si affaccia il simpatico faccione di quel vecchio di rosso vestito, idolo dei bambini, amico d’infanzia dei più grandicelli. In molte case, accanto all’albero addobbato, sopravvive il presepe, piccola Betlemme che ancora oggi sta a ricordare l’avvento di quel bambino che ha cambiato il mondo, comunque la si pensi. Una competizione silenziosa ma tenace che si svolge ogni anno in Occidente, teso sempre fra il recupero delle sue radici religiose e il suo essere proiettato verso un orizzonte consumistico-commerciale. Qualcuno particolarmente preparato introduce nella tenzone anche un terzo concorrente: l’origine pagana del Natale, le cui radici affondano nella festa del solstizio d’iverno e dei saturnali romani, poi collegata alla celebrazione della nascita del Sole. Non si tratta qui di vedere chi sia arrivato prima e chi invece abbia sovrapposto le proprie ricorrenze a festività più antiche. Né si può dare tutta la colpa al povero Santa Claus, consacrato, a partire dalla celebre pubblicità della Coca Cola degli anni ’30 che gli ha donato la sua attuale fisionomia, icona del mercato e dei consumi. Può invece essere interessante, a partire dal Natale come intreccio di tradizioni differenti, pagana e cristiana, considerare quale valore esse abbiano ancora oggi per la nostra cultura. Un valore che è innegabile e può essere riconosciuto anche da un liceale del nostro tempo se osserva come la sua formazione scolastica, infarcita di classici greci e latini, sia debitrice alla ricchezza della civiltà antica e come, poggiando sull’imponente edificio letterario e spirituale della Divina Commedia, sia saldamente basata sulle radici della Cristianità.
Nel secolo scorso innumerevoli scrittori, in primis i poeti, hanno voluto rievocare le basi classiche della nostra cultura, riportando in vita miti e allegorie antiche; intellettuali di primo piano come Benedetto Croce hanno sentito il bisogno di affermare che in virtù della nostra millenaria tradizione “non possiamo non dirci cristiani”. Ma che cosa realmente ci resta di queste due eredità? Cosa, per riprendere un’altra espressione cara a Croce, di esse è ancora vivo? O forse ormai in questo inizio di Terzo Millennio ci siamo lasciati tutto alle spalle, fondando una nuova “civiltà” in cui ad imperare è la sola legge del mercato? Ecco, io credo che qualcosa sia rimasto. Qualcosa che va oltre i poemi omerici e il Cantico delle Creature, oltre il Pantheon e l’affresco del Giudizio Universale, oltre ogni capolavoro letterario, pittorico e architettonico che pure ci pone davanti ai nostri debiti culturali. Questo prezioso, inestimabile, immateriale tesoro è costituito dalle idee e dai valori che Classicità e Cristianesimo ci hanno consegnato come un punto di partenza ineludibile per ogni riflessione ed azione umana. E in mezzo a tante gemme, fra cui troviamo l’equilibrio, la misura, la fratellanza universale, la nonviolenza che unisce Socrate a Cristo, due mi sembrano i pezzi di maggior valore di questo tesoro: le idee di libertà e di volontà. Esse inglobano e trascendono tutto il resto e, anche se per noi ormai sono qualcosa di scontato, rappresentano i semi autentici dalla cui unione è sorta la nostra civiltà.
Libertà: faccia spesso nascosta della medaglia del caso e della necessità che sembra governare le cose umane nel mondo greco, eppure unico vero motore delle imprese degli eroi, Ulisse in prima fila; libertà della conoscenza e del pensiero, elaborazione tutta greca che infrange ogni barriera, quella del limite umano così come quella del potere: è la libertà di Icaro che si libra in alto nel cielo sfidando gli dei, quella di Socrate che preferisce la morte all’ingiustizia.
Volontà: arcano privilegio dell’essere umano, sconosciuto ai greci, rivelato dai cristiani ad ogni uomo che si trovi davanti all’eterna scelta fra il bene e il male; volontà di un Dio che crea perché vuole creare, perché ama la sua creatura; creatura che a sua volta vuole e volendo è davvero libera di scegliere, avendo in se stessa l’unica norma del suo agire sottratta ad ogni intellettualismo o fatalismo opprimente. Perché se non si è liberi non si può volere, ma se non si vuole non si è veramente liberi. Non c’è dunque libertà senza volontà, né volontà senza libertà. Né ci potremmo essere noi, così come siamo, se questi due fari non avessero illuminato il nostro cammino fino a qui.