di Vincenzo Melito
Nelle opere di Jean-François Millet appare in modo evidente una visione originale del lavoro, in particolare della vita nei campi. I dipinti più significativi da questo punto di vista sono “Le spigolatrici” e il famoso “Angelus”, capolavori che ritraggono, nello scorrere lento del tempo scandito dal lavoro agreste, un grandissimo equilibrio, frutto del recupero del rapporto uomo-natura. La luce soffusa ma intensa che pervade entrambe le opere all’osservatore attento comunica un messaggio importantissimo: la straordinaria dignità conferita all’uomo dal lavoro umile e costante che si intreccia con il rapporto che questi stabilisce con la natura (in particolare nelle spigolatrici), ma non solo. Nell’“Angelus” c’è un elemento in più, che rende l’opera particolarmente efficace nella sua essenzialità e semplicità: in essa vive ritratto l’atteggiamento della preghiera, in cui i contadini sospendono il lavoro per dedicarsi ad un momento di comunicazione con il divino, ed ecco ciò che rende particolare il dipinto. Millett, infatti, fa recuperare a questa realtà rustica e semplice il rapporto col soprannaturale, che si compenetra perfettamente con la quotidianità dei momenti ritratti. Potremmo quindi definire questi due quadri di Millet come delle opere che instaurano una sorta di triangolo ideale costituito dal rapporto “Uomo-Natura-Divino”, con in più l’elemento del lavoro, che in tal modo non diventa più una realtà costrittiva e mortificatoria per l’uomo, bensì ciò che permette di integrarsi perfettamente con la natura intorno a sè e col divino stesso.