di Gianmarco Botti
Anno che viene, anno che va. Chissà perché poi si dà tanta importanza a questo momento di passaggio, quasi fosse quello cruciale che, lasciandosi alle spalle un prima già noto con tutti i suoi rimpianti e le sue nostalgie, varca le soglie di un poi affascinante nella sua sfuggente aria di mistero. L’obiezione tipica, e anche un po’ filosofica, di chi ritiene superfluo dare tanto rilievo ad una simile ricorrenza è la seguente: alla fine il tempo non è che una convenzione, una creazione umana; l’anno che inizia non ha nulla di diverso da quello che termina, semplicemente perché entrambi fanno parte di quel flusso continuo e indistinto che è la temporalità. Credo, invece, che la risposta più valida e, in fin dei conti, anche più interessante sotto il profilo del pensiero, l’abbia data il politologo Ilvo Diamanti quando diceva che “Le ricorrenze servono: a commemorare oppure a rinnovare. Occasioni di memoria e di speranza, per tornare indietro con gli occhi e la mente. Oppure, al contrario, per proiettarci in avanti”. È questo il punto. È senz’altro vero che il tempo così come lo conosciamo, scandito in anni, mesi e settimane, è opera della capacità di astrazione e schematizzazione dell’uomo; ma è altrettanto vero che la sua comprensione deriva da almeno due dati di fatto che si impongono alla mente di ogni essere umano: il passato e il futuro. Proprio questo è il valore che, nel sentire di molti, assume il transito da un anno all’altro. A Capodanno ci troviamo sospesi “tra passato e futuro”, per riprendere il titolo di un celebre libro di Hannah Arendt. In bilico tra il “già” e il “non ancora”. D’altro canto, tutta la nostra esistenza si trova tesa fra queste due polarità che la trascinano di qua e di là. Chi può negare il potere che il passato ha sul nostro modo di essere, sulle nostre decisioni e scelte personali? In quante disperate ricerche “del tempo perduto”, per dirla con Proust, ci lanciamo ogni giorno? Anche chi si impegna a cancellarlo, a metterci “una pietra sopra”, si accorge che la sua è un’impresa impossibile. “Il passato è la sola realtà umana. Tutto ciò che è, è passato” ricordava Anatole France. Si potrebbe continuare dicendo che “tutto ciò che noi siamo, è passato”. Eppure noi siamo anche qualcos’altro. Siamo quel che saremo. Il nostro futuro, i progetti, i sogni. Tutti conosciamo il peso che il futuro ha per ognuno di noi. Impieghiamo una vita intera a costruirlo. Le nostre azioni e i nostri pensieri sono indirizzati verso il domani, la vita stessa procede in avanti. Tutt’altro che inconsistenti disegni utopici, i progetti e i sogni che coltiviamo sostanziano i nostri giorni. E anche se il futuro, spesso, ha le sembianze del terzo spirito che viene a terrorizzare la notte del protagonista del celebre “Canto di Natale” dickensiano, silente e completamente nascosto da un nero mantello, nondimeno esso svolge un ruolo di primo piano in quella rappresentazione quotidiana che è il nostro presente. Già, il presente. Curiosamente finora è stato il grande escluso di queste riflessioni sul tempo. Esso rappresenta la cerniera fra il prima e il poi, il momento stesso del passaggio, la mezzanotte che ci immette da un anno nell’altro. Eppure, come la mezzanotte dura un istante, anche il presente nel momento stesso in cui c’è, già non c’è più. “Il passato…non è più. Il futuro…non è ancora. Il presente, come separazione fra due cose che non esistono, come fa a esistere?” chiedeva lo psichiatra nel film di De Crescenzo dall’evocativo titolo “32 dicembre”. Nulla di più fugace del presente. Ma niente di più nostro; anzi, esso è l’unico possesso che abbiamo davvero. Il presente siamo noi, nel nostro pensare e nel nostro agire. È l’unico potere che abbiamo nei confronti degli spiriti del passato e del futuro. “Dipenderai meno dal futuro se avrai in pugno il presente” ammoniva Seneca. Più che note sono le massime di Orazio sull’importanza di vivere il presente. Da tenere a mente soprattutto adesso che ci si trova a ripensare le ombre dell’anno trascorso e ci si augura che il nuovo sia diverso e migliore. Per questo a poco serve affidarsi agli oroscopi di fine anno e neppure bastano gli auguri che tradizionalmente ci si scambia nella speranza (quasi si trattasse di qualcosa in cui noi non abbiamo alcun ruolo) che le cose vadano per il meglio. Sarà pur vero che il passato pesa talvolta come un macigno e che il futuro, nel suo essere ignoto, sembra sfuggire a ogni possibile dominio, ma è nel presente che si gioca la nostra partita. Ecco allora un buon proposito per l’anno nuovo: vivere di più nel presente.
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