di Brando Improta
Il viaggio in aereo fu un lampo, come quando si fa un sogno, dove le “scene” di raccordo passano sempre in fretta e prive di significato.
Arrivamo al nostro albergo e ci sistemammo come era stato già stabilito prima della partenza: Raffaele fu il primo a disfare la valigia, cacciò fuori infatti un enorme casco di banane e andava girando per i corridoi in cerca di ragazze. Contava sul fatto che a Caracas nessuna donna parlasse italiano, aveva però dimenticato che l’albergo (di tre sole stelle), nel quale alloggiavamo, era esclusivamente per turisti, di cui la maggior parte dela nostra stessa nazionalità. Raffaele aveva studiato un piano singolare per abbordare le ragazze “venezuelane”: si avvicinava con questo gigantesco casco di banane appoggiato sulla spalla, come un qualsiasi cappotto messo da parte in giornate troppo calde, ed esclamava: “Buonasera…Vuole assaggiare una banana?”.
A prima vista può sembrare un metodo futile e grottesco ma, almeno per noi amici che eravamo spettatori dei risultati, era indubbiamente divertente: la prima ragazza rispose con uno schiaffo, una seconda accettò una banana e poi gliela spiaccicò sul naso, una terza (ed ultima, per fortuna) rispose finemente: “Infilatela nel retro…”.
Personalmente non avevo tanta voglia di restare in hotel, così insieme a Paolo, Strato e Vito andammo a fare un giro, mentre gli altri sistemavano ancora oppure dormicchiavano spossati dal viaggio. Credevo che appena fuori, sarei stato colpito dalla bellezza dei paesaggi, dal folclore della popolazione o, al limite, da qualche bella ragazza, ma l’unica cosa che mi lasciò davvero impressionato fu la grande povertà degli abitanti.
Case diroccate e scolorite, persone vestite spesso solo di un poncho o di qualche straccio variopinto, bambini magri al limite dell’invisibilità, ma ciononostante sorridenti come se, la loro, fosse la vita più bella che si potesse avere.
Ogni volta che fermavamo qualcuno per indicazioni o cose del genere, ci rispondevano sempre con un “Italiani? Ah…Popolo ladro!”. Ed io non mi sentivo di contraddirli perché da quello che la nostra rappresentanza politica mostrava all’estero insieme alla facilità di costumi che si intravedeva nelle nostre televisioni, solo questo si poteva pensare.
Vito, dal canto suo, conobbe una splendida ragazza di origine tedesca. Si chiamava Stine e lo prese subito in simpatia. Noi altri, invece, ci mescolammo ai locali, che ci accolsero subito a braccia aperte come fanno con tutti i turisti, tanto che il mio primo pensiero fu di aver trovato, in mezzo a tanta povertà, un popolo e una terra mille volte più ricchi di noi. Spesso, noi che abbiamo tutto, infatti, ci lamentiamo continuamente, e vedere loro (così disagiati) essere sempre allegri, mi fece capire quanto, oltre che ladri di denaro, rubassimo anche lamenti che, in fin dei conti, più si addicono ad altri che hanno meno di quanto abbiamo noi.
Vito e Stine finirono per passare tutta la giornata insieme. Anche quando noi tornammo dallla passeggiata, lui rimase con lei fino a tarda sera. Cenammo tutti insieme nel ristorante dell’albergo e Vito ci raccontò di come quella ragazza gli avesse riempito l’animo.
“Per la prima volta mi sento come se ogni azione che facessi, fosse doppiamente importante”
“Doppiamente importante?” chiese Guido un po’ perplesso.
“Sì, perché influisce anche su di lei che mi vuole bene”
“E c’è una cosa ancora più importante” fece notare Daniele.
“Cioè?” chiese Vito curioso.
“Che per la prima volta non termini una frase dicendo ‘cazzo in culo’!”.
Dopo avert sentito della buona riuscita sentimentale di Vito, Raffaele decise di organizzare una spedizione “conquistatoria” insieme a Guido e Daniele. Fecero ritorno, dopo due ore, insieme a tre bellezze di colore, che ci lasciarono tutti seriamente impressionati: solitamente, in patria, le famose spedizioni di Raffaele non avevamo risultati particolarmente soddisfacenti. Si chiudevano, infatti, sempre con schiaffi assortiti ricevuti dalle pretendenti o inseguimenti rocamboleschi da parte di fidanzati gelosi. Il primo commento di Raffaele, mentre si avvicinava a noi con aria esultante malcelata, avvinghiato ad una delle tre ragazze, fu: “Nessuna riesce a resistere al mio fascino”. Detto ciò, si avviarono nelle camere lasciandoci lì ad immaginare per loro una notte sicuramente interessante.
“E così loro lassù a divertirsi e noi qui che non sappiamo cosa fare” disse Biagio mentre addentava un panino molto formoso.
“Se i vostri amici si divertono così…” disse il portere addetto alla hall per quella sera, introducendosi nel discorso.
“Perché immaginate un modo migliore?”, chiesi io abbastanza stupito del suo commento.
“Ma voi forte non sapete chi sono quelle tre, diciamo così, ragazze…”
“No, chi sono?”
“Si tratta di tre famosi e riconosciuti trans di Caracas. I loro veri nomi sono Eusebi, Chavez e Gerone…”
“Ma lei è sicuro di questa cosa che dice?”
“Sicurissimo, una volta stavo per cascarci anche io!”
Scoppiamo tutti in una risata dissacrante e generosa, mentre nello stesso momento Raffaele si precipitava giù per le scale in mutande, inseguito da quello che doveva essere Eusebio, completamente nudo (o nuda, come si preferisce). Il nostro amico gridava terrorizzato mentre l’inseguitore (che era molto più veloce) protendeva le mani in avanti cercando di agguantarlo per fargli passare una notte che certamente non avrebbe più dimenticato.
In effetti, quella era una scena drammatica, almeno per Raffaele, ma io la vedevo con occhi felici: tutti i miei amici lì, in vacanze, come avevamo già fatto tante volte, ma, pur ripetendoci sempre, l’allegria che sentivo nel cuore giungeva sempre nuova e inattesa.