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‘Hereafter’, Eastwood regala al pubblico la sua opera della maturità espressiva ed intellettuale

di Marco Chiappetta

TRAMA: Tre personaggi alle prese con la coscienza della morte e l’idea dell’aldilà: Marie LeLay (Cécile De France), giornalista francese sopravvissuta per miracolo allo tsunami in Thailandia, non riesce più a riprendere la sua vita e decide di scrivere un libro sull’aldilà; George Lanegan (Matt Damon), operaio di San Francisco dotato di uno straordinario potere sensitivo, a causa di questo dono non può avere una vita normale e felice; Marcus (Frankie McLaren), ragazzino londinese alle prese con una madre tossicodipendente (Lyndsey Marshal), dopo la tragica morte del gemello Jason (George McLaren) cerca un modo per stabilire con lui un contatto ultraterreno.
GIUDIZIO: Opera unica, atipica e straordinaria nell’eclettica filmografia di Clint Eastwood, è capace di coniugare le peculiarità del suo autore, tra poesia e spettacolo, tragedia e favola, toni crepuscolari (la fotografia è sempre del maestro Tom Stern) e un recondito ottimismo di fondo, in una storia particolarissima di amore e morte, speranza e destino: forse la definitiva dimostrazione di maturità espressiva ed intellettuale del maestro americano.
Di fronte alla dolcezza del film si può resistere se si storce il naso ai temi dello spiritualismo e dell’aldilà, ancora forse poco credibili, e se, sbagliando, vi si legge il senso dell’opera, perché nella visione laica, in fin dei conti realista, di Eastwood fungono solo da pretesto per una riflessione profonda, disillusa, anti-retorica della vita e della morte.
Eastwood, pur essendo un poeta, non mente e non inventa niente: c’è davvero chi, in vita, ha conosciuto la morte e il vortice sfocato del nulla. Non c’entrano le “paranormal activities” né il sesto senso: Eastwood non vuole intrattenere, fa domande e non dà risposte. La ricerca continua della poesia, tra artificiose e clamorose coincidenze (come Iñárritu o l’ultimo Woody Allen), è comunque soddisfatta. E in un finale da brividi la tragedia della vita – cioè, la morte – sublima in una speranza, un sorriso, che sciolgono il cuore. Il richiamo è a Chaplin: il monello torna dalla madre, mentre George e Marie che si incontrano, vedono l’amore in faccia, ricordano il buon Charlot e la fioraia, non più cieca, di “Luci della città”.
Come Chaplin, anche Eastwood è autore delle musiche: bellissime, struggenti, tenere, ricordano non a caso la leggerezza soave di Rachmaninov (il brano del frammento londinese in effetti è una citazione del Concerto per pianoforte no. 2) e indubbiamente trascinano le emozioni dello spettatore, anche oltre gli eventuali limiti del film (io non ne ho visti).
Plauso per gli attori: se Matt Damon è una conferma e la belga Cécile De France una sorpresa dopo tanti film minori, rimarranno forse più a lungo nella memoria i volti, espressivissimi, dei gemelli McLaren.
Da antologia del cinema lo spettacolare inizio, con il devastante tsunami thailandese del 2004 ricostruito grazie a dei sorprendenti effetti speciali.
VOTO: 4/5