di Gianmarco Botti
Prendi otto attori. Costruisci la scena su due piani, uno all’interno dell’altro, con tanto di doppio sipario. Rispolvera un capolavoro assoluto della letteratura italiana e mondiale rivisitato da un maestro del teatro del Novecento: “I promessi sposi alla prova” è pronto a partire. Se vi va, fino al 23 gennaio, al Mercadante di Napoli, avrete l’occasione di vivere qualcosa di più di una normale serata a teatro. Il vostro sarà un tuffo nel teatro. Dietro le quinte, nel cuore pulsante del teatro che si fa, che gioca con se stesso, alla maniera dei pirandelliani “Sei personaggi in cerca d’autore”, per intenderci. L’ingrediente fondamentale di una simile rappresentazione? La sua straordinaria disinvoltura nel portarsi dentro e fuori la scena, immergersi ed estraniarsi rispetto alla storia che viene raccontata. Come riuscirci? In primo luogo attraverso l’ironia. È quel che basta sapere per poter partire alla volta di una vera e propria esperienza “metateatrale”, come la chiamano i critici. È la magia del teatro nel teatro. E così vi troverete davanti una dissestata compagnia di attori, impegnata nel tentativo di mettere in scena l’immortale romanzo di Alessandro Manzoni. Il testo è di quelli di prim’ordine: un omaggio che il troppo dimenticato Giovanni Testori, drammaturgo, poeta nonché pittore e storico dell’arte, ha voluto rendere al grande scrittore lombardo, di cui condivideva le profonde radici cattoliche. La regia di Federico Tiezzi lo ripropone al pubblico in una versione attualizzata, ad indicare come tanto il copione di Testori quanto il romanzo manzoniano, lungi dall’essere sorpassati, reggano pienamente alla prova dei tempi. Niente stupore, dunque, nel vedere un esuberante don Rodrigo (Massimo Verdastro) affermare con forza le proprie pulsioni ricorrendo all’autorità di Freud; né nell’udire le grida terrorizzate di don Abbondio (Sandro Lombardi) che, colto di sorpresa dagli aspiranti sposi nel suo studio, chiama in aiuto niente meno che la Digos. E nessuno si scandalizzi se a tratti il casto amore di Renzo e Lucia (Francesco Colella e Debora Zuin) assume i connotati umanissimi e moderni del desiderio sessuale. Il riuscito esperimento è frutto della vivace, eccezionale interpretazione degli attori i quali, nello spirito del testo, entrano ed escono dai costumi di scena (efficacissimi nella loro essenzialità), mantenendo sempre quell’ironica distanza dai personaggi che permette loro di non prendersi mai troppo sul serio. Accanto alla coppia di promessi, anche Marion d’Amburgo, nelle vesti di Agnese, la mamma di Lucia, il “bravo” (per capacità attoriale e ruolo narrativo) Alessandro Schiavo e la giovane-vecchia Perpetua di Caterina Simonelli. Ma a dominare è la personalità dell’eclettico capocomico e regista interpretato da Sandro Lombardi, che oltre a quelle del pavido curato indossa anche le vesti del battagliero frate Cristoforo e del tenebroso Innominato; e, dulcis in fundo, maestosa e sensuale, come nelle pagine del Manzoni, la Gertrude di Iaia Forte che, con la sua ansia da primadonna, fa il suo ingresso da una botola e finisce per riempire la scena. E, nella migliore tradizione del metateatro, l’universo degli attori entra sovente in collisione con quello del pubblico, quando ad esempio uno spaurito Renzo si chiede, indicando la platea: “Ma sono spettri o spettatori?”. Le barriere sono abbattute, prima fra tutte quella fra la verità e la finzione. Lo riconosce Lucia quando, vittima del rapimento ordito dall’Innominato, esclama atterrita: “Non è più una prova di teatro, questa!”. E il teatro, dichiarato morto nell’epoca della tecnologia digitale, stavolta dà davvero un’ottima prova di sé.