di Fabrizio Romano
“Tiembla, vienen los galacticos!”. Il grido di battaglia che risuonava al Santiago Bernabèu di Madrid era l’eco della potenza di una squadra. Quella maglia intensamente bianca, simbolo di una forza immacolata e pura, quel nome che raccoglieva in sé il fascino della leggenda e della superiorità. Il Real Madrid è stata la società per eccellenza, il calcio fatto gerarchia, la classificazione perfetta di sogni, vittorie ed eleganza. Adesso si è costretti a parlare al passato perché il magico libro delle merengues – le meringhe, così denominati per il colore della divisa – sta sfogliando le ultime pagine di una storia gloriosissima, che può essere riscritta in termini positivi solo con un autentico miracolo. La storia è molto semplice, pane quotidiano per chi segue il calcio spagnolo. Il Real Madrid non ha più lo strapotere tecnico, mediatico ed economico di una volta. “Ma come – potrà obiettare qualcuno – un’estate fa hanno speso vagonate di milioni per Kakà e Ronaldo?”. Già, ma adesso siamo già alla fase successiva: qualcosa si è rotto, Florentino Perez ha capito che il Fair Play Finanziario non è un giochino – e che Moratti non è un imbecille ad attenersi già da subito alle regole – e che non tutto più si può ottenere con i soldi e con il prestigio.
La potenza del Real è ormai oscurata dall’universo Barcellona, una realtà che dal nuovo secolo sta esaltando l’idea di un calcio romanzato, giocato come alla Play Station e creato con dei perfetti, magnifici burattini reclutati in tenera età e fatti crescere nel curatissimo orto blaugrana come ortaggi dal valore inestimabile. La famosa potenza della cantera che a Madrid hanno dimenticato, la nascita di una società sana della quale si è parlato ultimamente di debiti, in realtà un problema inesistente: è bastato piazzare uno sponsor sulla maglia per zittire chi sognava dalle parti della capitale di spegnere la luce del Camp Nou. L’immensità del Real Madrid – mito di generazioni, da chi ha ammirato Di Stefano e Butragueno a chi si è alzato in piedi per Raùl e Ronaldo – sta precipitando in un burrone pericolosissimo, un baratro solo apparentemente economico – perché un colosso simile non finirà mai, ma di certo dovrà porre fine come già sta facendo ad investimenti folli – ma in realtà molto più preoccupante perché senza sbocchi per il futuro, e dunque senza giovani pronti, ma anche senza più potere per il presente. Qui si apre un altro discorso, che va aldilà dell’aspetto tecnico-tattico appena trattato con il mondo Barça.
Dalle parti di Valdebebas – per chi non lo sapesse, quartier generale del Real – si è delineata una frattura terribile tra le varie parti della società. Già parlare appunto di ‘parti’ è negativo, dato che si presuppone un’organicità, ma al Madrid la situazione è davvero grave. Al giorno d’oggi, c’è lo schieramento Jorge Valdano, il direttore generale che ha sempre remato contro José Mourinho difendendo Pellegrini; lo schieramento del presidente Perez, il quale desidera ragionare solo di testa propria; ed infine lo schieramento del tecnico, José Mourinho, che fa pienamente parte della società in quanto influisce nelle vicende del club. I tre non si trovano mai d’accordo su qualcosa, anzi la situazione sta degenerando proprio perché ultimamente l’eccesiva vanità del Real Madrid sta portando ‘Paperone’ Perez a combattere contro Mourinho insieme a Valdano perché – a suo avviso – l’immagine del Real viene macchiata dalle continue sceneggiate del portoghese.
Oggi, quell’allenatore voluto proprio Florentino, sta venendo distrutto da quest’ultimo. Mourinho è costretto a fare tutto da solo, non ha una società che lo protegga, si lamenta in pubblico ed ha numerosi problemi ai quali fare fronte: nessun appello contro gli arbitri dai vertici del club, nessun acquisto di spessore a gennaio per sostituire Higuaìn che sarà fuori per tre mesi, niente rinnovo a Pepe paventato in più occasioni e niente fiducia totale all’allenatore, requisito base per far lavorare Mourinho come qualsiasi altro tecnico in serenità. Insomma, il Real inizia a specchiarsi troppo nella propria, antica maestosità rimanendo indietro con i tempi che corrono. Un’autentica follia, da parte di Perez, visto che il solo José può salvare la momentanea situazione del club. Mi spiego: se Pellegrini non ha fatto altro che esporre al ridicolo l’immagine del Madrid in Europa e nel mondo con le prestazioni in Champions e campionato, adesso ci vorrebbe il massimo appoggio verso Mou, il quale può dare una svolta nell’immediato, cercando di contrastare per quanto possibile lo stradominio del Barça, ma non in chiave futura, perché con questa gestione scellerata, la leggenda del Real è destinata a marcire in una triste vanità soggettiva, assolutamente inutile. Questo è il motivo – segnatevelo, prego – per cui José Mourinho, a meno di clamorose sorprese che potrebbero essere svolte in Champions League o nella Liga stessa, lascerà Madrid, se non al termine di questa stagione, nel 2012. Lui ha voglia di tornare all’Inter o in Inghilterra, dove possa avere l’appoggio del suo club per combattere contro tutti gli altri, e non dover lottare anche con quelli che dovrebbero essere i propri confidenti quando c’è già una potenza immensa come il Barcellona da affrontare.
E’ questo il paradosso del Real Madrid: un futuro destinato a morire se gestito così, ma anche un presente distrutto con le proprie mani. Solo Mourinho può salvare l’attualità del club blanco, insieme ai campioni della squadra, con un autentico miracolo. Ma la sensazione per i prossimi anni ormai è chiara: l’urlo del Bernabèu è destinato a rimanere strozzato in gola ancora a lungo. Per rivedere i veri galacticos, c’è ancora da aspettare. A meno di miracoli o svolte epocali.