di Gianmarco Botti
“Un esperimento di teatro di musica”. La migliore definizione di “Sconcerto” la dà Toni Servillo, che, dello spettacolo in scena al teatro Mercadante di Napoli fino al 20 febbraio, è regista e protagonista. Anche se, forse, per un’opera come “Sconcerto” tutte le categorie sono da rivedere. Te ne rendi conto non appena ti siedi. Sul palco c’è l’orchestra del San Carlo, pronta ad accordare gli strumenti per iniziare un concerto. Lo sconcerto comincia con l’entrata in scena del direttore. Un direttore come tanti altri, a giudicare dal suo bel frac e dal solenne inchino di rito che rivolge al pubblico. Eppure egli non dirige un bel niente. “Anziché dirigere, parla. Anzi, straparla. Da solo, con gli orchestrali, con il pubblico” dice Servillo del suo personaggio. Ed in effetti da subito ci si accorge che qualcosa non va, che troppi pensieri affollano la mente del maestro per permettergli di esercitare il suo compito. Intanto la musica va, vera protagonista dello spettacolo, dando sostanza a quel groviglio indistricabile, quel “troppo mondo nella testa”, che fa fatica a venir fuori, a trasformarsi in parole. Musica e parole. La musiche del compositore Giorgio Battistelli sono magistralmente eseguite dall’orchestra del San Carlo (in cui si inserisce anche Peppe Servillo, fratello dell’attore e voce nota degli Avion Travel) sotto la guida del suo direttore (quello vero) Marco Lena, che solo alla fine dello spettacolo verrà fuori dalla posizione nascosta occupata fino a quel punto. Il testo è di Franco Marcoaldi, poeta e firma delle pagine culturali de La Repubblica. Ed in effetti nelle tormentate riflessioni del direttore Servillo, con cui il pubblico viene intrattenuto per circa un’ora , c’è tanta poesia quanto contatto con l’attualità politico-sociale che fa capolino ogni giorno dalle pagine dei quotidiani. I problemi del lavoro, le morti bianche, il disorientamento di un Paese che è espresso dal vortice di considerazioni, fantasie, emozioni che vengono riversate sul pubblico, complice il ritmo incalzante della musica. Lo sconcerto è quello di tutti noi per il degrado che ci circonda e al quale forse in qualche misura ci siamo ormai assuefatti così da essere incapaci di levare un grido d’indignazione. “Siamo diventati tutti commedianti!” grida invece Servillo, chiamando in causa tutti, politici, giornalisti, ciascuno di noi. È il volto militante dello spettacolo, quello che l’attore ha già rappresentato al cinema negli ultimi anni con pellicole “impegnate” come “Il Divo” e “Gomorra” e che ha portato nuovamente a teatro lo scorso 14 febbraio, sempre al Mercadante, con le “Letture napoletane” i cui incassi saranno devoluti a Medici senza frontiere. “Qui, dentro la mia testa, c’è un ribollio continuo che trascina dove crede, istante dopo istante in una nuova direzione. La scuotono fermenti agitazioni turbamenti rumori suoni grida silenzi voci gemiti di morte, di stupri, goduriosi impazzimenti. Che se ne stanno tutti qui: come spettri conficcati nella testa”. Il ribollio che si manifesta fin dall’incipit come forza propulsiva di tutta la rappresentazione è quello della coscienza. Una coscienza, la nostra, forse troppo addormentata. Risvegliarla è lo scopo che opere come “Sconcerto” si propongono. E colgono nel segno.