di Gianmarco Botti
Un nome, un programma. E il programma in questione è “Fuoriclasse”, protagonista della prima serata di Rai 1 per un totale di sei puntate. Le ultime due sono andate in onda domenica e lunedì e, a giudicare dallo share, la rappresentazione ha fatto onore al suo nome. Un finale da fuoriclasse per una fiction fuoriclasse. E controcorrente, anche. E sì, perché dopo aver sfidato per cinque domeniche un avversario temibile come Maria De Filippi e i suoi “Amici”, lunedì la serie della Rai se l’è dovuta vedere niente di meno che col re dei reality Mediaset, il Grande Fratello. Il cast di liceali e professori, capitanato dalla grande Luciana Littizzetto e diretto dal regista Riccardo Donna, contro i popolarissimi ragazzi della Marcuzzi. La scuola, centro di gravità permanente delle vicende dei personaggi di “Fuoriclasse”, contro la casa più famosa d’Italia. E, a sorpresa, Davide ha battuto Golia. Oltre 7 milioni di persone hanno scelto di sintonizzarsi su Rai 1, a dispetto dei 5 che hanno optato per il Grande Fratello. Un risultato strabiliante ed entusiasmante ad un tempo, se si considera l’immagine che va sempre più accreditandosi del nostro Paese, il cui ritratto più veridico sarebbe quello offerto dalla tv commerciale dei GF e Amici vari. Soprattutto un grande segno di speranza per i giovani, che questa tv spesso rappresenta disimpegnati, distratti, incapaci di progettare seriamente il proprio futuro. La speranza che traspare da quanto scriveva sul suo blog poco prima della grande serata una delle giovanissime star della serie, Marco Cassini, che interpreta il ruolo di Aldo Tiburzio: “Aspettiamo i dati dello share di domani. Mi piacerebbe urlare al mondo che l’Italia ha preferito il lavoro di attori fantastici piuttosto del GF…mi piacerebbe poter dire: abbiamo vinto insieme, con l’impegno, con la dedizione, con la voglia di emozionarsi”. Quelli italiani assomigliano molto di più ai ragazzi e alle ragazze di “Fuoriclasse”, partiti dall’impegno e dalla passione per realizzare i loro sogni: chi, come Cassini, dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, chi, è il caso di Nicola Sorrenti, dall’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, o dalla scuola dello Stabile di Torino come Daniela Marra. E ancora, i bravissimi Angelo Donato Colombo nei panni dello “studente difficile” Marco Soratte, Gaia Messerlinkger, Camilla Semino Favro, Lorenzo Vavassori per citarne alcuni, tutti estremamente credibili nelle loro parti, accanto ai “professori” Fausto Sciarappa, Ninni Bruschetta, Fabrizia Sacchi, Gisella Burinato, alla preside-suora Mariella Valentini e all’impareggiabile coppia Littizzetto-Marcorè. Niente a che vedere con la via brevior con cui gli aspiranti concorrenti di reality cercano un rapido successo. Questi qui sono ragazzi veri e lo sono anche i loro personaggi, con tutti i problemi, le incertezze, le esperienze di crescita che l’adolescenza porta con sé. La prova che, in contrasto con il significato dei termini, la realtà delle nuove generazioni può essere rappresentata molto meglio da una fiction, piuttosto che da un cosiddetto reality. E così, il pubblico non ha potuto non sentirsi chiamato in causa dalle vicissitudini quotidiane di quello che è ben più di un luogo fisico e continua, anche a distanza di anni, a ispirare suggestioni sempre nuove ed un pizzico di nostalgia. Una scuola, nella fattispecie il Liceo scientifico Caravaggio di Torino, che nella fiction non svolge il ruolo di cornice accessoria come in tanti altri telefilm, sfondo di eventi che con esso poco hanno a che fare, ma che è vero e proprio aggregato di sentimenti, centro propulsore di esperienze di vita per alunni e docenti. La fiction tuttavia non risparmia di portare in tv anche il lato oscuro della scuola, il peso dei suoi problemi, che in Italia sono molti. E così, se il Caravaggio ci sembra molto meglio dei nostri istituti, con quel cortile che è teatro di relazioni umane di ogni genere come nei colleges americani, con il dialogo autentico che si instaura fra coloro che stanno davanti e dietro la cattedra e con i match di pallavolo fra alunni e professori, non ci vengono nascoste le difficoltà economiche in cui versa la scuola, ad un passo dalla chiusura fino alla fine, lo scoramento dei professori frustrati da stipendi da fame e continuamente tentati dal desiderio di ben altre carriere. Ecco allora che viene in primo piano l’esigenza di invertire la rotta di questo Paese in fatto di scuola e formazione, proprio per dare nuovo stimolo ai giovani e valorizzare appieno la professionalità dei docenti. Rifondare la scuola partendo proprio da loro. È la ricetta che Paola Mastrocola, docente di lettere e scrittrice, propone nel suo nuovo libro “Togliamo il disturbo”, presentato domenica sera a “Che tempo che fa”. Secondo il Corriere della Sera, “nel libro viene sancita la sconfitta degli insegnanti, ultimi resistenti aggrappati all’idea che stare sui libri possa essere utile”. È la sconfitta gridata qualche giorno fa da una professoressa di latino dalle colonne di Repubblica: “Io non me la sento più di dire ai miei studenti di sacrificare ore di studio per il latino. L’ho fatto io, non fatelo voi ragazzi. Altrimenti farete la mia fine. Vi ritrovereste con un pugno d’aria, di parole che ormai oggi non hanno più senso per nessuno”. Il punto di partenza per cambiare le cose può essere anche una serie televisiva firmata da chi alla scuola ha consacrato la propria vita, come Domenico Starnone, autore fra gli altri di “Ex cathedra” e “Fuori registro” e suo figlio Federico, insegnante pure lui e sceneggiatore di “Fuoriclasse”. E il cambiamento passa attraverso decisioni come quella che la prof. Isa Passamaglia, la straordinaria “Lucianina nazionale”, prende alla fine dell’ultima puntata: continuare, nonostante le difficoltà, il suo impegno nella scuola e per la scuola, rifiutando un importante posto da dirigente.
Ma un segnale positivo già c’è: l’ha dato il pubblico italiano che ha rifiutato le sirene dei reality e ha scelto “Fuoriclasse”.