di Brando Improta
E’ nel 1861 che l’Italia divenne una nazione: finalmente unita sotto una bandiera, nel nome di un unico popolo, e non frammentata in tanti regni dai dialetti diversi.
Ecco, quindi, l’esigenza di ripercorrere i 150 anni trascorsi attraverso una delle cose migliori che il nostro popolo ha saputo sfruttare in campo artistico: il mezzo cinematografico. Perché diciamola tutta, gli americani si sono specializzati nel fare i film più spettacolari e più popolari, ma noi siamo i maestri della commedia (e di altri sottogeneri di cui parleremo).
Ovviamente il cinema nasce qualche anno dopo l’Unità. Precisamente nel 1895, ad opera dei fratelli Lumiere. In Italia arriverà l’anno dopo, grazie agli stessi creatori che, nell’arco di quattro mesi, aprirono sale cinematografiche a Roma, Napoli, Livorno, Bergamo, Ravenna e Bologna.
All’alba della settima arte, il cinema italiano, era più che altro composto da documentari, piccole scenette di vita vera o di eventi importanti immortalati da cineprese a manovella (tra questi filmati è giunto sino ad oggi quello di papa Leone XIII che prega nei giardini Vaticani, della durata di ben 2 minuti).
Il primo film a soggetto (o di fiction come vengono chiamati oggi) fu realizzato nel 1905 dal regista Filoteo Alberini e si chiamava “La presa di Roma”; da allora il cinema italiano ha seguito una rapida crescita specializzandosi soprattutto in commedie.
Commedie che spaziano in vari sottogeneri da quelle grottesche a quelle sentimentali, da quelle comiche a quelle drammatiche o amare; tanti sono stati i momenti in cui il cinema italiano ha rischiato di finire a causa di crisi (una fra tutte quella seguita alla prima guerra mondiale e durata fino al 1929) ma grazie alla commedia si è sempre rialzato più splendente di prima. Impossibile non pensare che grandi attori del primo periodo di Cinecittà (nata per volere di Mussolini nel 1937 e sviluppatasi sempre con la legge fascista sul monopolio nazionale) non possano essere messi alla stessa stregua dei vecchi divi hollywoodiani: in fondo Totò non è tanto distante dal genio di Chaplin, Vittorio De Sica non è indegno del carisma di un Cary Grant e Sophia Loren (vincitrice del premio oscar nel 1961) non è distante dal fascino di Katharine Hepburn.
Il cinema italiano è sempre andato a ‘periodi’, conoscendo alti e bassi: gli anni quaranta, e parte dei cinquanta, sono stati il periodo del neorealismo (con registi come Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Giuseppe De Santis); dalla metà degli anni cinquanta sino alla fine dei settanta c’è stato lo sviluppo di un particolare cinema autoriale, dove il regista affrontava i temi della quotidianità in maniera spesso introspettiva (ricordarsi di Michelangelo Antonioni) o altre volte più fantasiosa e onirica (basta un nome: Federico Fellini).
Ma la commedia non è mai stata altalenante, la commedia ha fatto da unificatrice per il cinema italiano di tutti i tempi, ha divertito migliaia di generazioni e ancora oggi ha i suoi validissimi esponenti. Senza dimenticare tutto il filone più spettacolare, purtroppo oggi poco attivo, in cui spiccavano sottogeneri come lo spaghetti western (e registi eccezionali come Sergio Leone, Sergio Corbucci, Tonino Valerii), il peplum (con le saghe di Maciste ed Ercole), il poliziottesco (che ha lanciato attori internazionali come Tomas Milian e registi tra i quali Umberto Lenzi), lo Snuff movie (sottogenere in cui si cercava di riprodurre un elevato numero di efferatezze che venivano registrate in modo da sembrare vere, un esponente illustre fu Ruggero Deodato), l’Horror e il Thriller (che ha tenuto a battesimo l’oggi acclamatissimo Dario Argento ed altri non meno meritevoli maestri come Mario Bava e Lucio Fulci).
Spesso, si sente dire che il cinema italiano è apprezzato solo dagli italiani e che all’estero gli unici a vendere in termini di incassi (e di premi) sono gli americani e gli inglesi. Ebbene, non è vero. Molti forse dimenticano (o non sanno) che anche noi abbiamo avuto incassi mastodontici, tanto da far tremare i blockbuster hollywoodiani: nel 1980 Ruggero Deodato girò il suo capolavoro “Cannibal Holocaust” che incassò la bellezza di 200 milioni di dollari (di cui 21 solo a Tokyo!); negli anni settanta e ottanta la mitica coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill infilò una serie di straordinari successi mondiali (insieme e da soli) tra cui “Altrimenti ci arrabbiamo” (84 milioni), “Anche gli angeli mangiano fagioli” (64 milioni), “Continuavano a chiamarlo Trinità”(108 milioni), “Lo chiamavano Trinità” (70 milioni) e “Il mio nome è Nessuno” (64 milioni); ancora “La vita è bella” di Roberto Benigni ha incassato a livello mondiale ben 228.900.000 dollari.
In fatto di premi siamo anche più importanti: infatti, a parte la stessa “Vita è bella” che vinse tre oscar nel 1998, siamo la nazione che ha vinto più oscar al miglior film straniero: ben dieci più tre premi speciali e un totale di 27 nomination. Casi a parte sono Bernardo Bertolucci, regista popolarissimo che ha lavorato nella sua carriera con attori come Keanu Reeves, Marlon Brando, Jeremy Irons, Robert De Niro, Gerard Depardieu, Burt Lancaster, Donald Sutherland e Peter O’Toole (oltre ad aver vinto ben 9 premi oscar nel 1988 con “L’ultimo imperatore”), e Dario Argento, di cui il maestro del thriller Alfred Hitchcock, nel 1972, dopo aver visto “L’uccello dalle piume di cristallo”, disse: “Questo giovane ragazzo italiano inizia a preoccuparmi”.
Infine, tornando al genere prediletto dal nostro popolo, la commedia, si può dire che ogni regione ha avuto ed ha maestri insuperati della risata, spesso tutti uniti nel film ma diversificati fra loro a secondo dei dialetti e delle loro personalità: la Lombardia vanta Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Adriano Celentano, Enrico Maria Salerno, Gian Maria Volontè e Ugo Tognazzi; la Liguria invece Carlo Dapporto, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini e Paolo Villaggio; la Toscana Roberto Benigni, Alessandro Benvenuti, Francesco Nuti, Leonardo Pieraccioni e Renato Salvatori; il Lazio Sergio Castellitto, Christian e Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Enrico Montesano, Gigi Proietti, Alberto Sordi e Carlo Verdone; la Campania Eduardo e Peppino De Filippo, Silvio Orlando, Vincenzo Salemme, Bud Spencer alias Carlo Pedersoli, Nino Taranto, Massimo Troisi ed il mitico Totò; la Puglia Lino Banfi, Michele Placido, Sergio Rubini, Emilio Solfrizzi e Rodolfo Valentino (il primo divo di tutta la storia del cinema); e ancora, in Sicilia, Jerry Calà, Adolfo Celi, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Leo Gullotta e Nino Frassica.
Parlare dei 150 anni dell’Unità di Italia va fatto anche ricordando un curioso episodio accaduto nel 1961, ovvero quando c’era da festeggiare il centenario. Molti registi si scatenarono per fare opere che rispettassero e al tempo stesso omaggiassero l’evento (uno fra questi fu Rossellini con il suo “Viva l’Italia”), e così fecero anche i comici. Fra loro c’era Totò, che bisogna ricordare all’epoca non godeva dei favori della critica né della censura, che stava per uscire nelle sale con un film che doveva intitolarsi “Totò truffa’61”. Purtroppo la censura intervenne spietata, dicendo che un film di Totò (lui ritenuto volgare e commerciale) non poteva oltraggiare in tale modo una cosa tanto sacra come il centenario dell’Unità, e così il titolo fu cambiato in “Totò truffa ‘62” pur essendo uscito un anno prima.
Oggigiorno, il cinema italiano ha rinunciato a molti generi passati: western non se ne fanno più, di thriller molto pochi e spesso gli incassi più alti nel nostro paese sono dovuti a film americani costosi e spettacolari. Per questo, mi sento di dover lanciare un invito: ogni tanto, se leggendo sui depliant del cinema, leggete di un film Made in Italy, e magari dovete scegliere fra un “Natale a…” e un Harry Potter, fra un film di Verdone o Salvatores e il vostro supereroe preferito, per una volta, scegliete il film italiano. Non importa se il classico film comico natalizio oppure uno più impegnato, l’importante è che una volta su due superiate i pregiudizi del budget ed entriate in una sala battente bandiera tricolore.
Perchè è desolante pensare che molti ragazzi di oggi conoscano a memoria le battute di Twilight e non abbiano mai visto un film di Totò…