di Marco Chiappetta
Aspettavamo di vedere al cinema uno dei protagonisti degli Oscar, “The Fighter” (uscito in Italia solo venerdì 4 marzo), per commentare – a freddo, molto a freddo – quanto accaduto la notte del 27 febbraio, al Kodak Theatre di Los Angeles.
Non inganni il fatto che era Hollywood, che si tratta di cinema, e che lo spettacolo fosse all’ultimo respiro: l’82a cerimonia degli Oscar non ha offerto colpi di scena. E meno male. Chi se li aspettava? Troppi bei film quest’anno, una competizione agguerrita che non si vedeva da anni, acuita certo dall’espansione della lista dei migliori film a 10 titoli: come l’anno scorso, ma con una qualità nettamente superiore. L’ha spuntata, come da copione, “Il discorso del re”: film classico, che accontenta tutti, economico e raffinato, emozionante e didattico. Dall’alto delle sue 12 nomination, non arraffa tutto, ma le 4 statuette più importanti: film, regia, sceneggiatura originale (David Seidler) e attore protagonista. Se era certa la vittoria di Colin Firth, nel ruolo del balbuziente re Gorgio VI (la regalità porta bene: vedi Helen Mirren per “The Queen”), meno lo era quella del regista Tom Hooper, preferito al favoritissimo David Fincher, che rimane ancora a mani vuote due anni dopo il maldestro exploit di “Il curioso caso di Benjamin Button” (ricorderete: 13 nomination, solo 3 Oscar). Il suo sopravvalutato “The Social Network”, cronaca (chissà quanto interessante?) della nascita di Facebook, vincitore di 4 Golden Globe e per questo come da prassi favorito per un trionfo, porta a casa solo tre statuette, ma importanti: montaggio, sceneggiatura non originale (Aaron Sorkin) e colonna sonora (Trent Reznor, leader dei Nine Inch Nails, e Atticus Ross). Tutte meritate, per carità.
“Il Grinta” dei fratelli Coen, bell’aggiornamento del vecchio western con John Wayne (premiato proprio con l’unico Oscar della carriera, perciò Jeff Bridges ci sperava), era stato nominato a 10 Oscar e non ne ha vinto nessuno: peccato, capita nell’anno sbagliato. Un altro film che racconta l’America, ma quella di oggi, e con mezzi assai inferiori, resta a vuoto: “Un gelido inverno”, un po’ troppo esaltato in patria, che a sorpresa competeva per film, sceneggiatura, attrice protagonista (Jennifer Lawrence), attore non protagonista (John Hawkes). Tanto per riempire la lista e far vedere che l’Academy si interessa anche ai filmetti poveri e indipendenti.
A secco anche “127 ore” di Danny Boyle (già trionfatore due anni fa con “The Millionaire”) e “I ragazzi stanno bene”, che aveva vinto il Golden Globe per la miglior commedia.
“Il cigno nero”, che ha diviso pubblico e critica di mezzo mondo, regala a Natalie Portman un Oscar per cui non c’erano altre contendenti più degne, e che la consacra nella storia per una delle interpretazioni femminili più estreme e virtuosistiche di sempre.
“Inception” vince 4 Oscar: fotografia (del maestro Wally Pfister, fedelissimo di Nolan), effetti speciali, suono, montaggio sonoro. Ci si lamentava – non a torto – dell’assenza di Christopher Nolan dalla lista dei migliori cinque registi: ma candidato per il film e per la sceneggiatura, il talentuoso regista si prenota un sicuro successo col prossimo capitolo di Batman (“The Dark Night Rises”, uscirà nel 2012, e sarà la fine del mondo). A proposito, ovvia vittoria di Christian Bale come miglior attore non protagonista: dimagrito di venti chili, quasi come sette anni fa per il cult spagnolo “L’uomo senza sonno”, offre in “The Fighter”, di David O. Russell, il ritratto crudo, realistico e sofferto di un ex pugile tossico e fallito. Stesso film, stessa sezione, versante femminile: trionfa Melissa Leo, sulla co-protagonista Amy Adams e sulla regina Elisabetta di Helena Bonham Carter, e se lo merita tutto. Quando sale sul palco per ritirare il premio, è un po’ finta, per la prima volta si vede che è un’attrice e che recita. “Toy Story 3”, forse il più bello dell’anno, anche se candidato giustamente tra i 10 migliori film (come l’anno scorso “Up”), la spunta nella categoria di animazione e per la canzone (“We Belong Together” di Randy Newman). Il meno brillante dei film di Tim Burton, “Alice in Wonderland” vince due Oscar, per i costumi e per le scenografie: i pochi pregi di un film non esaltante. Infine, meno accesa dell’anno scorso, la competizione per il miglior film straniero è vinta dalla danese Susanne Bier, seconda regista donna della storia a esser premiata, per il suo “In un mondo migliore”, già uscito in Italia, quasi inosservato, diversi mesi fa.
Nulla di sorprendente, si diceva, ma per una volta, nulla da recriminare. Come si dice nello sport: i migliori hanno vinto.