Home » Napoli, News, Reportage, Spettacolo, Teatro » L’Unità d’Italia nella notte bianca del San Carlo: critiche alla serata organizzata, pubblico insoddisfatto

L’Unità d’Italia nella notte bianca del San Carlo: critiche alla serata organizzata, pubblico insoddisfatto

di Roberto P. Ormanni

NAPOLI – Cala il sipario e un mormorio scivola tra la platea e i palchi strapieni del Teatro San Carlo di Napoli. E’ l’una di notte, un’ora esatta di esibizione, ma i presenti non riescono a crederci, non vogliono capacitarsi. Era stata presentata come “evento speciale” la tanto attesa “Notte bianca per festeggiare l’Unità d’Italia”, ma gli spettatori restano a guardare perplessi il loro biglietto pagato 30 euro. Il programma era straordinario, sì: porte aperte in notturna al tempio dell’arte partenopeo e diretta Rai sulla rete nazionale per un’anteprima, dedicata ai 150 anni d’Italia, del balletto “Romeo e Giulietta”, con Roberto Bolle e Lucia Lacarra, in programma dal 22 al 29 Marzo nello stesso teatro. Un successo annunciato, praticamente. Ed infatti, nonostante l’agenda prevedesse solo un estratto (“I duelli”) dell’opera “Romeo e Giulietta”, le musiche di Hector Berlioz, la regia di Amedeo Amodio e gli etoiles ospiti, avevano già garantito il tutto esaurito al Teatro, attirando il pubblico preparato alle grandi occasioni.
Eppure, lo spettacolo che viene mostrato agli intervenuti è indecoroso. E, viverlo in una simile cornice, è quasi umiliante. Le luci accese (probabilmente necessarie alla diretta televisiva) risultano essere il minor incomodo. La rappresentazione, che sembra iniziare regolarmente, viene subito interrotta dal coreografo e regista Amodio, che discute (ovviamente senza microfono) con il direttore d’orchestra Massimiliano Stefanelli. Il pubblico è perplesso, è preso quasi alla sprovvista, ma quando il balletto riprende, prova a dimenticare la stranezza.
Accolto dagli applausi, quindi, fa il suo ingresso Bolle, che poco prima, in collegamento televisivo su Raiuno, si era detto felice perché “il miglior modo per festeggiare l’Italia è con la cultura”. Dopo di lui, entra Lacarra, anche’essa acclamatissima. Le scenografie cambiano, a sipario aperto; Amodio, sul palco, dà le ultime direttive; i due ballerini, Romeo e Giulietta, passeggiano, scaldano i muscoli, preparandosi al passo a due. La platea è muta, non sa a che pensare. Tuttavia, arriva il momento di Lacarra e Bolle: un episodio, un passaggio, di reale ascesa verso l’arte, verso il sentire, verso l’emozione più pura. I passi dei due protagonisti, che si muovono sulle note dell’orchestra, sembrano guidare tutto il Teatro in una sfera di passione e di intensità.
Gli spettatori, a questo punto, sperano finalmente di poter elevarsi nella reale dimensione di Teatro, ma nuovamente vengono spinti nell’ombra del dubbio quando il regista torna sulla scena, per parlare con il direttore e per organizzare una nuova scena. O meglio, la stessa iniziale. Solo provata con alcuni dettagli variati. Il pubblico, allora, prende a masticare parole a mezza voce. Da alcuni palchi scendono fischi. Ma nessuno esplode del tutto, i più restano impietriti.
Poi sale sul palco il coro del San Carlo che, accompagnato dagli strumenti, intona l’inno di Mameli, “Fratelli d’Italia”. Ma neanche tutto, in realtà. La “versione della Nazionale”, per così dire. E forse, nella notte per l’Unità, si sarebbero potute rispolverare anche le altre quattro strofe. Ciononostante, finisce così. Gli applausi arrivano, il consenso per gli artisti c’è, come è ovvio e giusto. Il loro valore non è messo in discussione da nessuno. Ma, mentre la sala si sfolla, tra i corridoi, le parole crude e severe arrivano da tutti e sono tutte per l’amministrazione della struttura, che ha organizzato e gestito la serata. I presenti si sentono presi in giro, utilizzati come “comparse televisive” e gli attacchi che vengono rivolti sono condivisi da tutti. Molti, probabilmente i più affezionati e devoti al teatro e alla cultura tutta, addirittura chiedono alle maschere dove si può far reclamo. Nella folla, gli sguardi si incrociano e quasi mostrano imbarazzo. Doveva essere una notte di cui andare fieri per sempre, un evento rappresentativo di un intero paese, e invece quasi niente è stato all’altezza. Il coacervo di pubblico presente, allora, esce. Gli interrogativi che tanti si pongono si alzano quasi in coro. E’ unanime l’amarezza, è compatto il giudizio.
Ma, forse, chissà, è proprio in questo, allora, che si è trovato il senso di Unità. Almeno per stavolta, almeno in questo giorno.