di Gianmarco Botti
Etica pubblica, questa sconosciuta. Eppure oggi l’espressione, desueta nel linguaggio di tutti i giorni e decisamente emarginata dal dibattito contemporaneo, è risuonata più volte nell’aula magna dell’Università Federico II. Una gran bella notizia per questo primo giorno di primavera, per chi si augura che una primavera sorga anche per Napoli. È l’obiettivo che si propone il Giubileo per Napoli, un’iniziativa fortemente voluta dal cardinale Crescenzio Sepe: lavorare per il riscatto della città, perché essa è molto più della spazzatura materiale e morale che la schiaccia, nascondendone l’autentico volto. Un volto che è anche e soprattutto cultura. E alla cultura è dedicato, nell’ambito di un progetto che abbraccia l’intero anno, il mese di marzo.
Questa la cornice dell’incontro del mondo accademico partenopeo che ha avuto luogo nella storica sede di corso Umberto dell’ateneo fridericiano, il più antico d’Europa. A fare gli onori di casa il Magnifico Rettore Massimo Marrelli che, accanto ai suoi colleghi – Lida Viganoni dell’Orientale, Francesco De Sanctis del Suor Orsola Benincasa, Claudio Quintano della Parthenope e Francesco Rossi della SUN –, ha testimoniato la vitalità dell’università napoletana. Una realtà che, nelle loro parole, viene investita di un compito importante, che va ben al di là della formazione di professionisti preparati: si tratta innanzitutto di formare l’uomo e il cittadino. È qui che entra in scena la sfuggente chimera, il tema che fa da sfondo a tutto il resto: un deficit di etica pubblica come quello che caratterizza il contesto attuale vuole dire senz’altro che qualcosa è andato storto. “Dove abbiamo sbagliato?” si interroga don Adolfo Russo, Vicario Episcopale per la Cultura. L’esame di coscienza chiama in causa non solo l’università, ma anche la Chiesa. E il Vicario se le immagina come due genitori che si guardano perplessi, sconvolti dall’immaturità di un figlio che credevano di aver educato bene. Perché se è vero, come pure è stato ricordato, che università e Chiesa non possono sostituire la politica, tuttavia è chiaro a tutti il fondamentale contributo che possono e devono dare. A patto che collaborino fra loro, perché, nella situazione in cui ci troviamo, per dirla con la Mazzantini, “nessuno si salva da solo”. Certamente anche le istituzioni, rappresentate in sala da alcuni esponenti del mondo accademico prestati alla politica, l’assessore regionale Guido Trombetti e i deputati Eugenio Mazzarella e Luigi Nicolais, devono fare la loro parte. E i tagli all’istruzione, ricordati da don Russo, non sono proprio un bel segnale. Ma l’appello è soprattutto al mondo dell’università in tutte le sue componenti. Si tratta di rispondere alla domanda, assolutamente centrale, che fa da titolo alla relazione tenuta dal filosofo Fulvio Tessitore: “Che cosa significa etica pubblica?”. Lorenzo Chieffi, direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica, ha segnalato come al quesito e a tanti altri di carattere morale oggi in molti ritengano impossibile rispondere. È quello scetticismo etico, ha ricordato ancora Chieffi, che Roberta De Monticelli nel suo ultimo lavoro, “La questione morale”, indica come la causa prima del degrado in cui ci troviamo. E qui, ancora una volta, le distanze fra il pensiero laico della filosofa e quello cattolico di un papa che denuncia ripetutamente la “dittatura del relativismo” si assottigliano. Nel suo intervento Tessitore parte da Aristotele e dalla pregnanza filosofica di quell’“ethos” che, unendosi al giuridico “publicus”, pone le basi di ogni convivenza civile. L’importante è che la politica poggi sulla responsabilità, senza la quale si riduce a ricerca dell’interesse privato. Allora si incorre nel rischio dell’autoesaltazione e della vanità che sempre incombe sull’uomo pubblico e lo trasforma in demagogo. Lo stesso avviene a chi, all’interno dell’università, dimentica la propria funzione educativa. La responsabilità, invece, ispira quell’atto di amore per la città, come lo ha definito il preside della facoltà di Lettere Arturo De Vivo, che è il Giubileo per Napoli. Un amore che nasce dall’amara coscienza di come le piaghe del disfattismo, del clientelismo e della malavita affliggano sempre più la nostra terra. Ecco perché, ha ammonito il preside, l’iniziativa di oggi non resterà isolata, ma sarà seguita da altri momenti di riflessione sul tema dell’etica pubblica, coniugata, negli incontri che si terranno nelle diverse facoltà, a temi sempre nuovi: la medicina, il diritto, l’economia, la democrazia. La parola d’ordine, secondo il cardinale Sepe, è “corresponsabilità”: quella che riguarda tutti e spinge ognuno a mettere a disposizione le proprie capacità e professionalità per la costruzione del bene comune. In questo l’università deve essere protagonista, con la sua opera di formazione globale dell’uomo. “Di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” ha tuonato il cardinale. Un’università che sia “cuore pensante” e “mente pulsante” e che, come neppure la Chiesa deve fare, non si arrocchi nella propria “cittadella”. In quei 150.000 studenti degli atenei napoletani c’è, secondo il cardinale, tutto il nostro futuro. Con la collaborazione di ciascuno, questo Giubileo potrà divenire un’occasione di svolta che Napoli non avrà perduto. Un’occasione che cade, come ha ricordato in conclusione Marrelli, nel momento in cui il nostro Paese si trova a festeggiare i propri 150 anni di vita. I problemi di Napoli sono anche quelli dell’Italia e, se non si affrontano gli uni, non si risolveranno neppure gli altri. La fortuna dei napoletani è, secondo il Rettore, di poter contare, per sollevare le coscienze, sul cardinale e anche sul Presidente della Repubblica. Ed è a questo punto, nell’aula magna della Federico II, che l’applauso si fa scrosciante per ricordare il “laureato di casa” Giorgio Napolitano.