Il quotidiano “la Città” ha pubblicato l’editoriale del suo direttore, Angelo Di Marino, circa il disastro in Giappone e il dibattito internazionale sul nucleare. Ecco l’articolo che pubblichiamo per gentile concessione dell’autore:
di Angelo Di Marino
Abbiamo negli occhi l’apocalisse giapponese. Fatta di morte, devastazione, paura e dignità. Tornano alla memoria le immagini dello tsunami del 2004, quello che distrusse mezza Thailandia. Ma stavolta è diverso, purtroppo.
Alla forza degli elementi, si è aggiunta la mano dell’uomo, determinante nel mettere in ginocchio uno dei colossi dell’economia mondiale. Il disastro nucleare conseguente al maremoto ha preso in contropiede anche un governo proverbialmente puntuale ed efficiente come quello di Tokyo, senza contare le vistose lacune del gestore privato dell’ormai tristemente famosa centrale di Fukushima.
Quanto sta accadendo ha riaperto in tutto il mondo il dibattito sul nucleare. Mentre proprio il Giappone, così come India, Pakistan e Cina non hanno alcuna intenzione di fare marcia indietro, in Europa c’è chi mette ora in dubbio quelle che fino a poco tempo fa sembravano certezze. A modo nostro, anche in Italia si sono aperte crepe nella marcia sicura e sfrontata imboccata da Berlusconi e dal suo governo. «Se continuiamo così, perdiamo le elezioni», ha detto il ministro Prestigiacomo l’altro giorno, non sapendo di essere ascoltata. La sua voce è la sintesi della lacerazione che il nucleare ha provocato nella politica del nostro paese.
Perché se può essere giusto non avere pregiudizi sull’energia atomica, è oltremodo doveroso preoccuparsi (e non poco) sul metodo che verrebbe usato per attivare centrali nucleari in Italia. Puntuale come un orologio svizzero, poi, è rispuntata la solita lista di siti che nessuno ammette di aver stilato ma che resta, comunque, l’unico elenco da cui partire per compiere delle scelte. Manco a dirlo, la Campania fa da ospite d’onore nel misterioso documento, in cui sono inserite due nostre località: una nel Beneventano, l’altra a Foce Sele a pochi chilometri da Eboli. Non sappiamo se mai si costruiranno nuove centrali in Italia, di certo appare singolare credere si possano fare da noi, dove regna ancora l’emergenza rifiuti (per stessa ammissione del governo che diceva di averla debellata) e l’incombente pressione della malavita organizzata nella realizzazione delle grandi opere.
Insomma, c’è chi pensa che in un territorio in cui, tra le svariate negatività, non si è saputa gestire la quotidiana dismissione dell’immondizia, si possano invece realizzare un paio di impianti a fissione nucleare che, ovviamente, andrebbero prima costruiti e poi fatti funzionare. Esprimere qualche riserva crediamo sia lecito, oltre che dovuto per chi ancora conserva un minimo di buon senso. Qui siamo ancora alle prese con i termovalorizzatori, i cantieri della Salerno-Reggio, le infiltrazioni della mafia negli appalti, il buco nero della sanità e ci vorrebbero rifilare anche una centrale atomica?
Senza contare il passato del nucleare in Italia, fatto di ombre che ancora si stagliano anche se a distanza di decenni. Un esempio? Lo troviamo a poche decine di chilometri dalla provincia di Salerno, a ridosso del confine tra Basilicata e Calabria. Nel territorio di Rotondella, provincia di Matera, ci sono ancora oggi 64 barre di combustibile che attendono dal 1974 di essere smaltite. Sono il frutto del centro nucleare della Trisaia nel quale veniva portato avanti un programma sperimentale concordato con gli Stati Uniti, iniziato nel 1960 e abbandonato agli inizi degli anni Settanta. Quelle scorie radioattive non possono essere trattate da nessun impianto industriale. Giacciono lì, nel profondo sud, senza che se ne sappia niente. Sarà tutto sotto controllo, per carità. Eppure nessuno al mondo le vuole. E perché gli americani, per conto dei quali facevamo esperimenti sul nostro territorio, se ne sono lavati le mani? Troppi interrogativi per una questione quantitativamente irrisoria rispetto a quello che ci toccherebbe in caso di ritorno alle centrali nucleari. Ma che ci fanno capire quante e quali zone oscure circondino la rinnovata corsa all’energia atomica.
Ciò che meno ci conforta in momenti come questo è l’assoluta evanescenza della politica rispetto a questioni così delicate. Soprattutto in Campania. Da un anno, dalla campagna elettorale per le Regionali, viene periodicamente chiesto al governatore Caldoro cosa pensi del nucleare. Elegantemente ha sempre svicolato, mediando parole e posizioni nel tentativo di non creare allarmismi. Difficile credere che, in caso di un’accelerazione imposta da Berlusconi, possa essere in grado di dire “no”. Poco convincente anche quanto dice Vincenzo De Luca che non boccia il nucleare, a patto che non si faccia sotto il nostro naso. Insomma, per il sindaco di Salerno le centrali si possono anche fare, basta che le costruiscano al Nord.
Provate ad immaginare, anche solo per un attimo, la nostra attuale classe politica confrontarsi sul nucleare. Come possiamo credere in posizioni prese per mero interesse nazionale, a prescindere da quali esse potrebbero essere, e non invece per cieca appartenenza lobbistica. Tenendo conto che sterzare da un lato significherebbe fatalmente uscire di strada dall’altra, azzerando le agevolazioni ed i contributi per le fonti di energia rinnovabile che sarebbero le prime ad essere boicottate in presenza di una “svolta” atomica.
Senza voler pensare a male, ma poi perché Berlusconi per il Sud pensa solo ad opere faraoniche? Si va dal ponte sullo Stretto, all’Alta velocità per la Sicilia, al riammodernamento della Salerno-Reggio e ora alle centrali nucleari. Ettari cubi di cemento per edificare i quali c’è bisogno di espropri, appalti, anni di lavori esponendo il fianco a rischi incalcolabili. Il tutto sa di paradosso, visto che non ci sono i soldi per completare il raccordo Salerno-Avellino o per far viaggiare i treni dei pendolari e gli autobus di linea. Sembrano due mondi paralleli che mai si incontreranno.
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pubblicato su “la Città” del 20 marzo 2011