di Rosalba Ferrante
È segnato al 12 ed al 13 Giugno il Referendum abrogativo della legge varata dal Governo Berlusconi IV del 23 Luglio 2009, n.99 che reintroduce la possibilità di costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano.
La produzione di energia elettrica da fonte nucleare, in Italia, risale addirittura agli anni Sessanta. Nel corso di quegli anni, infatti, il Paese contava già tre impianti basati sulle tre tecnologie più innovative dell’epoca: in questo modo, essa appariva come il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo Stati Uniti d’America ed Inghilterra. Le tre centrali erano stazionate a Latina, a Sessa Aurunca ed a Trino, che, all’epoca, registrava la centrale elettronucleare più potente al mondo. L’energia prodotta da queste tre centrali contribuiva al fabbisogno energetico circa per il 3-4%. Agli inizi degli anni ’70 venne promossa la costruzione della quarta centrale nucleare a Caorso. Pochi anni dopo fu varato il Primo Piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva un forte sviluppo dell’energia elettronucleare sul territorio italiano. Montalto di Castro e Trino furono i siti delineati dal PEN per la costruzione di nuovi impianti di energia elettronucleare. Ma, l’incidente alla centrale nucleare Three Mile Island (USA) del 1979 fece posticipare la costruzione della centrale elettronucleare di Caorso e smantellare definitivamente quella di Garigliano, soggetta, tra l’altro, a numerosi malfunzionamenti.
Fu però il disastro di Chernobyl del 1986 a far indire in Italia i tre Referendum nazionali del 1987 circa il settore nucleare. L’80% dei cittadini votanti si espresse contro la centralizzazione delle centrali e così, tra il 1988 ed il 1990, i Governi Gloria, De Mita e Andreotti IV posero fine all’esperienza nucleare italiana chiudendo le tre centrali a Latina, a Trino ed a Caorso. Dal 1999, tutti i siti di queste centrali sono di proprietà della SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari) e, insieme agli altri impianti nucleari presenti sul territorio italiano, sono in fase di smantellamento e di pulizia per far sì che non venga rilasciato nell’ambiente nessun residuo di tipo radiologico.
Bisogna però tenere conto che, durante gli anni dell’esperienza nucleare italiana, le centrali hanno prodotto una serie di scorie radioattive che, attualmente, si trovano ancora in Piemonte. Per il loro smantellamento sono previsti, entro il 2025, dodici trasporti agli impianti di trattamento in Francia. Attualmente, i viaggi compiuti per lo smantellamento di queste scorie sono stati solamente due per di più effettuati senza alcun rispetto per le normative di sicurezza europee. La normativa italiana a riguardo, infatti, prevede di informare i cittadini delle norme di sicurezza da seguire in questi casi solamente dopo un eventuale incidente “molto grave”.
Dopo la chiusura delle tre centrali italiane, il dibattito politico riguardo il nucleare si è riaperto negli anni tra il 2005 ed il 2008, a seguito dell’impennata dei prezzi del gas naturale e del petrolio. Il Governo Berlusconi IV all’epoca reintrodusse la possibilità di ripristino di impianti elettronucleari sul territorio italiano. L’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, propose di costruire dieci nuovi reattori nucleari: l’obiettivo prefissato ero quello di raggiungere il 25% di produzione energetica nucleare tale da ridimensionare del 50% quella di origine fossile. L’intento di tornare alla produzione elettronucleare è stato così regolato dagli articoli 25,26 e 29 della legge 23 Luglio 2009, n.99. A seguito del ricorso di tre regioni sull’incostituzionalità di alcuni punti della legge, la Corte Costituzionale intervenne modificandone alcune parti, correggendone alcuni errori ed incongruenze, chiarendo i punti relativi alla valutazione ambientale, ridefinendo procedure, tempistica e benefici relativi ai siti che avrebbero ospitato le centrali.
Ciò non è bastato, tuttavia, ad impedire a dieci Regioni italiane (Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia Toscana e Umbria) a fare istanza di illegittimità costituzionale contro la legge del 23 Luglio 2009, n.99. A tale riguardo, la Corte Costituzionale si espressa stabilendo la necessarietà di chiedere alla Regione scelta per la costruzione di un impianto nucleare il proprio parere. Il Consiglio dei Ministri ha quindi corretto nuovamente il Decreto legislativo, modificando e specificando ulteriormente altri punti poco chiari della normativa.
Il 9 Aprile 2010, l’Italia dei Valori ha presentato una nuova proposta di Referendum riguardo la costruzione di centrali elettronucleari in Italia. Agli inizi del 2011 la proposta è stata accettata dalla Corte Costituzionale.
Ma, in seguito all’incidente della centrale nucleare a Fukushima dell’11 Marzo 2011, il Consiglio dei Ministri ha concesso una proroga di un anno sull’iniziativa nucleare in Italia. Con il decreto legge “Omnibus” anche il Governo, consapevole della palese sconfitta cui sarebbe stato soggetto nel caso di un eventuale Referendum abrogativo, ha stabilito di non procedere all’attuazione della localizzazione di suddette centrali nucleari sul territorio italiano.
I piani del Governo, tuttavia, non sono andati come essi speravano: il 1 Giungo 2011, infatti, la Corte di Cassazione ha deciso di confermare il Referendum abrogativo alla legge del 23 Luglio 2009, previsto quindi per il 12 ed il 13 Giungo. Il quesito sarà applicato, però, alla normativa contenuta nel decreto Omnibus e non al testo originale. Si tratta quindi di quei commi che, pur annullando la costruzione di nuove centrali nucleari, danno la possibilità al Governo di attuare il programma successivamente, in base a delle verifiche condotte sia dall’agenzia italiana che dall’Unione europea riguardo la sicurezza degli impianti.
Secondo gli ultimi sondaggi, la maggioranza degli italiani che andranno a votare al Referendum (complessivamente non troppi se si tiene conto della disinformazione di cui i quesiti referendari sono stati soggetti) sarebbero genericamente orientati verso il “Sì” e quindi verso l’abrogazione del decreto legge per la localizzazione delle centrali nucleari.
Si contrappone al pensiero comune dei pro-nucleare, che, come tesi a supporto, promulga un ipotetico se non utopico profitto economico che l’utilizzo di energia nucleare porterebbe all’Italia, nonché la fine dell’emissione di gas serra ed il ridimensionamento della dipendenza dalle economie del petrolio estere, quello dei così detti anti-nucleare: scettico sì, ma, nel complesso, strutturalmente più concreto.
Per quanto riguarda il caso specifico italiano, tutti coloro che si professano contro l’utilizzo di energia nucleare e la costruzione di sue centrali, portano avanti una serie di tesi. Prima di tutto, è risaputo che gran parte del territorio italiano è sottoposto ad un grande rischio sismico: numerose delle sue coste sono a rischio di sommersione ed i danni che una impianto nucleare registrerebbe in caso di terremoto sarebbero disastrosi ed estremamente pericolosi. In secondo luogo, poi, bisogna ricordare che l’attuale problema italiano relativo allo smaltimento dei rifiuti di certo non fa ben sperare riguardo la gestione delle scorie nucleari, sicuramente più pericolose e nocive rispetto alla spazzatura che tutti i giorni si accumula per le strade. Tra l’altro, bisogna considerare anche che i vecchi rifiuti delle passate centrali nucleari italiane, come è stato già detto, ancora non hanno trovato collocamento dopo quindici anni dalla chiusura delle suddette. Gli intrecci poi che sono registrati tra affari e politica di certo non rassicurano e tranquillizzano gli italiani né garantiscono il controllo e la sicurezza nel caso di un’eventuale costruzione di un impianto elettronucleare. Ancora, i profitti economici promessi in caso di utilizzo di energia nucleare, non tengono conto dei tempi e dei costi che ci vogliono per erigere, far funzionare ed eventualmente smantellare una centrale nucleare. Un’altra perplessità è relativa alla dipendenza dalle economie estere, che non verrebbe in alcun modo eliminata: per il procedimento nucleare, infatti, c’è bisogno di un’enorme quantità di uranio, di cui l’Italia non dispone, ciò comporta che essa sarebbe costretta a dipendere comunque solo ed esclusivamente dall’estero. L’uranio, per di più, comincerà a scarseggiare intorno al 2025 ed allora si dovrà sostituire con il plutonio, facilitando così la costruzione di armi nucleari ed il problema, già consolidato di suo, del terrorismo in quanto gli impianti potrebbero essere il bersaglio di un qualsiasi attentato. Infine, le ultime ma non per questo meno importanti perplessità a riguardo, sono relative al problema in caso di un incidente, e quindi alla gestione di esso ed all’effetto momentaneo ed a lungo termine che le radiazioni registrerebbero sulla popolazione, nonché lo stoccaggio e lo smaltimento di scorie nucleari, per le quali, ancora oggi, non è stata trovata alcuna vera soluzione.
È questo tutto quello per il quale il 12 ed il 13 Giugno si andrà a votare e, sebbene molti credano che il fatto non li riguardi neanche da lontano, è doveroso capire l’importanza che esso ha e gli effetti che un qualsiasi suo risultato in entrambi i casi porterebbe.
Che le coscienze si sveglino e gli occhi si aprano, perché, come affermava il pittore Goya già nel lontano 1797, “il sonno della ragione genera mostri”.