di Ilaria Giugni
Domenica 12 e lunedì 13 giugno gli italiani sono chiamati alle urne ad esprimersi in materia di giustizia. Il quesito proposto, riguardante il legittimo impedimento, è il seguente: “Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1,2,3,5 e 6, nonché l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante ‘Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza’?”
Analizziamo la questione.
Fra il marzo e l’aprile del 2010 il governo Berlusconi ha approvato, ottenendo la maggioranza alla Camera e servendosi del voto di fiducia in Senato, tale decreto legge, secondo la quale il nostro codice penale riconosce a ciascun cittadino il diritto di far posticipare un’udienza di un processo se ha un impedimento che deve essere “effettivo e assoluto”. Nel caso in cui il cittadino in questione svolga la funzione di Presidente del Consiglio dei Ministri, tale legge prevede che egli possa invocare il legittimo impedimento a comparire in aula, laddove impegnato in una o più attività coessenziali alle funzioni di governo, al fine di garantire il sereno svolgimento delle funzioni di governo (art. 1 comma 1). Il giudice, preso atto di tale richiesta, non ha la facoltà di verificare la legittimità dell’incombenza dichiarata (art. 1 comma 3).
Inoltre, il rinvio dell’udienza per “legittimo impedimento” non influisce sul corso della prescrizione del reato, che rimane sospeso per l’intera durata del rinvio, riprendendo il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa di sospensione (art. 1 comma 5).
Il legittimo impedimento ha carattere retroattivo: le nuove norme si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado essi si trovino all’entrata in vigore della legge (art. 1 comma 6).