di Bruno M. Criscuolo,
studente di International Business Administration alla Rotterdam School of Management.
Le parole di Maurizio Landini, segretario generale della FIOM, pronunciate ieri sera durante “Tutti in Piedi”, agli occhi dei più sarebbero potute sembrare nell’ordine: sovversive, faziose, di parte, schierate, criminogene, elementi di propaganda bolscevica e affini.
La solita solfa propugnata dell’ “altracasta”, il sindacato italiano, che paralizza l’economia, blocca il flusso lavorativo, cristallizza i privilegi, inceppa le strategie di mercato.
Io studio Economia Internazionale e mi sono più volte interessato del mercato del lavoro, dei sindacati italiani. Ho letto libri scritti sia di chi li difendeva a spada tratta, sia di chi li criticava amaramente.
Non mi vergogno di dire che per documentarmi in materia ho letto persino un libro scritto da Vittorio Feltri con la prefazione di Renato Brunetta – “Il Sindacato- edito da “Libero” (forse di questo me ne vergogno un po’).
Faccio due premesse importanti:
a) Il Marchionne-manager mi piace. Lo trovo intelligente e anche molto preparato. La FIAT andava ristrutturata cinquant’anni fa, ma invece si è semplicemente continuato a fare la questua a soggetti indegni di rappresentare l’azienda (un nome su tutti Cesare Romiti). Non sopporto la sua avversione al sindacato, le modalità da lui scelte per combatterlo ed anche il fatto che abbia la residenza in Svizzera, ma credo che stia facendo un lavoro tutto sommato necessario e che andava iniziato tempo fa.
b) Oggettivamente credo che alcune iniziative sindacali degli ultimi anni siano state quantomeno discutibili. Credo sinceramente che il fenomeno del “precariato” sia anche colpa di alcuni privilegi insopportabili che vengono garantiti ad alcune categorie di lavoratori (particolarmente quelli della pubblica amministrazione), protetti a spada tratta dai loro sindacalisti.
Episodi del genere vengono descritti sia nel libro del prof. Ichino, “I nullafacenti”, sia in una splendida puntata di “Report” a cura della Gabanelli, intitolata “Il sindacato”, che ne ha messo in luce storture e malfunzionamenti.
Ma ieri sera, Landini, ha compiuto due gesti che io trovo essere incredibilmente, scusatemi per il termine un po’ retorico, rivoluzionari: nel corso del suo toccante intervento, si è riappropriato del reale significato delle parole, e ha coltivato “il vizio della memoria”.
In un Paese che da sempre soffre sia di mancanza di chiarezza semantica, sia di clamorosi svarioni mnemonici, questo rappresenta un gesto di straordinaria importanza e significato. Ha usato parole che non sono politiche.
Sono semplicemente termini di civiltà, e chiunque sia dotato di un minimo di onestà intellettuale dovrebbe avere il buon senso di riconoscerne l’assoluta veridicità.
Landini ha bollato le iniziative politico-economiche dei governi italiani dell’ultimo decennio con l’unica vera parola degna di descriverle: “stronzate”.
Pacchi enormi di stronzate, tese a metterci contro chi magari la propria pensione se l’è guadagnata con il sudore e il lavoro di una vita, contro chi ha combattuto sempre in prima linea per i diritti fondamentali di ogni singolo lavoratore.
Stronzate per coprire sprechi di ogni tipo, sorta e colore ( memorabilmente descritti ne “La Casta” di Rizzo e Stella)
Stronzate abbinate a slogan quali “efficienza e meritocrazia”, in bocca a persone che non sono mai state né efficienti (la Gelmini venne addirittura cacciata dal proprio gruppo consiliare di Brescia “inefficienza politica e organizzativa”) né meritocratiche (Brunetta è quanto di peggio il socialismo abbia potuto offrire all’Italia.).
Stronzate per gettare fango su chi, al di là di tutto, ogni mattina si alza, infaticabile, per mandare avanti questo Paese
E soprattutto, Landini ci ha ricordato qualcosa che le voci dell’economia e del capitalismo nostrano dovrebbero sempre tenere a mente prima di sputare ignobili sentenze.
Sono loro i veri produttori di ricchezza in Italia: la piccola e la piccolissima impresa, le aziende a conduzione familiare, e i loro operatori. I veri autori del “miracolo italiano”, i fautori dell’unica economia che conta, quella reale, che si batte come un leone contro la piovra della speculazione finanziaria selvaggia.
Operai, impiegati, dipendenti della PA che da una vita danno letteralmente il sangue (come alla Tyssenkrup, come sulla gru di Brescia, come sui piloni dei cantieri illegali) per “produrre” quella ricchezza necessaria a tappare i buchi nei bilanci dello Stato, per coprire un sempre più insostenibile debito pubblico (l’agenza Moody’s ha minacciato la declassazione dei nostri titoli di Stato, in assenza di manovre correttive straordinarie).
Sono loro, con il loro massacrante lavoro, a cercare di far fronte ai sempre più dilaganti costi della corruzione (60 miliardi di euro secondo le ultime stime della Cassazione), per evitare che l’Italia scivoli all’ultimo posto nella graduatoria stilata dal Fondo Monetario Internazionale sullo sviluppo economico relativa all’ultimo decennio (oggi è al penultimo posto).
Sono loro l’Italia che regge sulle proprie spalle il peso dello Stato, che hanno mandato in Europa “questo cazzo di Paese” (mirabile sintesi di Toni Servillo in “Gomorra”).
Sono loro che tollerano insulti, umiliazioni e vessazioni di ogni tipo, da parte di gente che è “piccola come un coriandolo”, ricca nel portafogli ma povera nello spirito, che li descrive come “L’Italia peggiore”
Sono loro che hanno sopportato misure draconiane prima per rientrare nel Sistema Monetario Internazionale,dissanguati dalla speculazione monetaria figlia di Tangentopoli, e poi in Europa e nella zona Euro.
Sono loro che ci hanno regalato il prestigio normativo necessario per far parte del G8 di avere il nostro “posto al sole” sullo scacchiere politico internazionale.
“Chi parla male, pensa male e vive male” diceva Nanni Moretti in “Palombella Rossa”. E aggiungeva, “Le parole sono importanti”.
E’ da quando sono nato che sento parlare della necessità di riforme.
E’ una tesi che condivido, ma penso che oggi, l’unica cosa necessaria da fare sia ringraziare, di vivo cuore, queste persone che mi consentono di regalarmi tutti gli sfizi che mi tolgo quotidianamente e di vivere una vita da privilegiato.
Vi dico grazie, con la speranza di potere un giorno ripagare, almeno in parte, il mio immenso debito nei vostri confronti.
Voi siete, indubbiamente, l’Italia migliore.