di Roberto P. Ormanni
Continuano le esibizioni estive di Carlo Faiello. Mentre si aspettano nuove date del tour “A Tamburo Battente”, sabato scorso il musicista napoletano è salito sul palco della Notte della Tamorra a Boscoreale, in provincia di Napoli.
Il giro dei concerti stagionali per Faiello è cominciato il 13 Giugno a Forenza. Il 7 Luglio, poi, è sbarcato nella sua città, Napoli, sul tetto del Castel Sant’Elmo, per poi proseguire l’8 a Roma e il 10 ad Avellino.
Ad affiancare il membro storico della Nuova Compagnia di Canto Popolare nelle sue performance, Enzo Pinelli (batteria), Gianluca Mercurio (percussioni), Salvatore Torregrossa (fisarmonica), Roberto Giangrande (basso) e Pasquale Nocerino (violino). Lo spettacolo allestito, inoltre, vede la partecipazione di una voce femminile, Monica Pinto, e di due ballerine, Erminia Parisi e Mariagrazia Altieri, che accompagnano la musica con coreografie e danze popolari.
Un tour, quello preparato da Faiello, che offre alle platee energia allo stato puro. Lo stesso titolo, Tamburo Battente, si riferisce alla “divinità che suona il tamburo, che fa muovere tutto e protegge tutto”. Ritmo, danza, liberazione, musica e cultura sono gli ingredienti fondamentali che Faiello porta nel suo bagaglio.
“La cultura è la base di ogni società. Se un paese è civile e colto, sarà anche avanzato economicamente. Sbagliano quando dicono che ‘Con la cultura non si mangia’, non è vero”.
Maestro Faiello, cosa intende quando dice che con la cultura si mangia?
Io vengo da un quartiere difficile, dai Quartieri Spagnoli, e, per quanto mi riguarda, la musica mi ha salvato: non so che fine avrei potuto fare in determinate situazioni di disagio. Insomma, credo nella potenza della musica, nel suo aspetto terapeutico.
Eppure oggi fare musica appare sempre più difficile.
Nella mia giovinezza c’erano le cosiddette “radio libere”, che trasmettevano musica alternativa di quel tempo: De André, De Gregori, Guccini. Oggi le radio sono solo “radio commerciali”, non fanno nient’altro che seguire il gusto corrente della massa portando un modello unico di musica monopolizzata.
Un tempo, però, non era così…
Assolutamente no. La mia generazione, per esempio, ha avuto la possibilità di seguire grandi eventi e grandi concerti, conoscendo espressioni artistiche molto diverse tra di loro. Adesso i ragazzi non hanno questa fortuna. I festival propongono sempre le stesse cose e anche i concerti hanno perso il significato di un tempo. A meno che non consideriamo i pienoni di Finizio o D’Alessio…
Come si è arrivati a questo?
La causa di questo decadimento, credo, sia sempre una causa economica. La cultura è importante, e lo sa anche chi è al potere. Non a caso cercano di tagliare la cultura: vogliono avere un gregge. Non un popolo, ma una massa informe, che si fa spostare, che segue e non pensa.
Cosa direbbe a un giovane che prova a lanciarsi nella musica?
Oggi un giovane che fa musica deve avere una resistenza particolare: deve resistere contro questa ondata di appiattimento culturale e musicale.
Solito discorso anche in questo caso? Via dall’Italia per fare musica?
Andare via e cercare altro altrove non serve a niente: la situazione è mondiale, non è solo italiana. C’è un desiderio di eliminare la cultura, la musica, a livello mondiale.
Quello che possono fare i giovani è di rimanere a Napoli: c’è bisogno di loro, delle forze nuove per combattere il sistema.