di Rosalba Ferrante
Mentre nel resto del mondo i mass media e le prime pagine andavano dimenticando ed accattonando gli avvenimenti libici, come se non fossero più degni dell’attenzione che avevano suscitato agli esordi, nella notte del 22 Agosto i ribelli libici conquistano l’intera Tripoli, prendendo sotto controllo anche la televisione dello Stato. “Credevamo che sarebbe stata un’impresa più difficile, immaginavamo un maggiore spargimento di sangue” afferma una combattente di Tripoli “alla fine centinaia di residenti nella capitale si sono riversati per le strade a festeggiare la vittoria dei ribelli”. Gheddafi, in un primo momento, spinge i suoi seguaci a ripulire la capitale : “Tripoli brucerà”. Successivamente offre un “cessate il fuoco”, per il Cnt (Consiglio nazionale transitorio) “solo se va in esilio”.
Durante la notte i cecchini continuano a sparare contro gli insorti ed i civili a Piazza Verde, il cui nome, per volere degli insorti, verrà trasformato in Piazza dei Martiri, in onore delle vittime della ribellione. Intanto, intorno alle sette del mattino, a Tripoli, i combattimenti si fanno sempre più violenti intorno alla casa di Gheddafi: i tre figli del colonnello vengono arrestati ed “Al- Jazira” riesce ad intervistare il suo primogenito Mohammed, il quale conferma di essere stato catturato dagli insorti e tenuto agli arresti domiciliari. Mentre parla si sentono degli spari in sottofondo : “Mi stanno assediando casa” commenta e subito dopo la linea si interrompe. Sulla posizione di Gheddafi, intanto, si discute ancora: secondo alcune fonti diplomatiche egli potrebbe ancora trovarsi nel suo compound di Bab al- Azizya nel centro di Tripoli. Secondo il sito di opposizione Al-Manara, invece, il colonello si troverebbe nascosto nell’ambasciata venezuelana a Tripoli.
Durante la mattinata il giornalista russo Orkhan Djamal, inviato del quotidiano russo “Izvestia”, viene ferito ad una gamba dai proiettili dei cecchini di Gheddafi. Questi ultimi, nel pomeriggio, hanno continuato a sparare sulla folla: tre i morti, tra cui due bambini tra i cinque e i sei anni, colpiti mentre sventolavano con il padre la bandiera dei ribelli.
Il Consiglio dei ribelli annuncia di volersi spostare da Bengasi a Tripoli. Il suo ambasciatore Mahmoud Nacua dichiara di essere a conoscenza della presenza di forze fedeli al colonnello a Tripoli, ma che, nonostante ciò, i ribelli controllano il 95% della città: “Riteniamo che il rais sia ancora vicino al Paese, ma rivolteremo ogni pietra pur di trovarlo”.
Nel frattempo, durante la mattinata, la Banca Mondiale afferma di essere pronta ad offrire il suo supporto finanziario al nuovo governo nel caso esso venga richiesto.
Non si fanno attendere i commenti dal resto del mondo. La Nato, attraverso una dichiarazione del segretario generale dell’Alleanza Anders Fogh Rasmussen, afferma di voler lavorare con il Cnt “per il ripristino al meglio della situazione in Libia”.
L’Unione Europea chiede che Gheddafi “vada via immediatamente” e sottolinea la “necessità di elezioni libere” in Libia.
Dall’America, Obama ritiene gli avvenimenti della notte i segni di un collasso: “Gheddafi se ne deve andare”, dice. E intanto invita i ribelli a “rispettare i diritti umani” e a preservare “il cammino verso la democrazia”.
Anche per la Gran Bretagna la fine del regime è vicina: “Gheddafi ha compiuto crimini spaventosi contro la sua gente, deve andare a casa”. Il primo ministro inglese, David Cameron, che ha anticipato il rientro dalla Cornovaglia per una riunione del consiglio di sicurezza nazionale sulla situazione libica, afferma che il dittatore deve fermare subito i combattimenti e chiede che venga giudicato per i suoi crimini.
Si schiera in questa direzione anche la Cina che auspica in un ritorno alla stabilità in Libia al più presto.
Le risposte non si fanno attendere neanche dalla Germania e dalla Francia: entrambe, in riunione straordinaria, chiedono il ritiro del rais e delle sue truppe.
Il primo ministro maltese, Lawrence Gonzi, ha inviato un messaggio di congratulazioni al popolo libico, nel quale dichiara che nessun asilo verrà dato dal governo maltese nè a Gheddafi né agli ufficiali del suo regime: “Contro di lui c’è un mandato di cattura internazionale che sarà applicato se arriverà qui”.
Dall’Italia invece il Ministro degli esteri Frattini definisce gli avvenimenti della notte “la fine di una dittatura” e riferisce che i tecnici dell’Eni stanno già lavorando per riattivare gli impianti di petrolio e gas: “In questo modo – ha detto – il gruppo italiano avrà un futuro di primo piano nel settore energetico della Libia”.
Dal Venezuela, invece, il presidente Hugo Chavez, stretto alleato di Gheddafi, denuncia i Governi d’Europa e degli Stati Uniti: “Stanno distruggendo tripoli sotto le bombe, e lo stesso anche il Governo degli Stati Uniti, che si professa democratico”.