di Matteo Spini
Pochi hanno saputo incarnare negli ultimi anni la speranza di cambiamento come Barack Hussein Obama: un giovane senatore nero, che prometteva una rivoluzione pacifica negli Stati Uniti e nelle relazioni col resto del mondo. Un simbolo di speranza per milioni di americani senza assistenza sanitaria e senza un lavoro, per tutti gli afroamericani e le minoranze, per tutti coloro che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani e l’ambiente. Obama ha infiammato l’America e non solo: tutto il mondo, o quasi, tifava per lui.
Cosa possiamo dire, oggi, dopo tre anni dalle trionfanti elezioni che dovevano sancire la fine del medioevo bushano e l’inizio di una nuova era per gli Usa e per il mondo intero? Possiamo dire che poco, troppo poco, è cambiato. Le uniche promesse mantenute sono il ritiro dall’Iraq e l’approvazione di una riforma sanitaria decisamente annacquata rispetto alle previsioni iniziali (evento in ogni caso importante).
E il resto? Un colossale fallimento. Obama ha abdicato, ha ceduto, si è arreso su tanti, troppi fronti. A partire dalla questione ambientale su cui sono stati fatti numerosi dietrofront, proseguendo con il vergognoso carcere di Guantànamo, ancora aperto e funzionante. Cosa dire poi dei tagli pesantissimi al bilancio, di una ripresa economica incerta, della vergognosa proroga degli sgravi fiscali ai ricchi mentre milioni di americani non trovano lavoro?
E la politica estera? Pochissimi passi in avanti e tanti insuccessi. La mediazione nel conflitto israelo-palestinese è fallita e Obama si è alla fine riallineato ad Israele, il sostegno alle rivoluzioni arabe c’è stato, certo, ma dopo una valanga di tentennamenti e ambiguità. Ma l’aspetto più grave rimane la permanenza, di fatto, dell’ideologia bushana secondo cui la guerra al terrorismo è la priorità assoluta e che il rispetto dei diritti umani viene solamente dopo. Questo è un tradimento delle promesse di Obama. Esempi? La discuttibilissima esecuzione di Osama bin Laden (senza processo e violando la sovranità di uno stato), i finanziamenti continui a spietati tiranni solamente perché combattono presunte cellule di Al-Qaeda, le continue stragi di civili in Afghanistan, il ricorso sempre più massiccio ai mercenari (altamente inaffidabili), il Patriot Act ancora in vigore…
Bisogna precisare, in realtà, una cosa: molti degli insuccessi di Obama non sono imputabili a lui o comunque non solo a lui. L’opposizione interna al Partito democratico e l’ignobile campagna avversa dei repubblicani ha portato ad una versione “light” della riforma sanitaria mentre i pesanti tagli al bilancio, la sfiorata bancarotta ed altro ancora sono stati provocati unicamente da un’opposizione irresponsabile che controlla la maggioranza alla Camera, ed ormai in balia di un movimento estremista come quello dei Tea Party. Ciò non toglie che nei primi mesi in cui Obama controllava l’intero Congresso si sarebbe potuto fare di più, soprattutto nell’inaugurare una nuova epoca per le relazioni internazionali (non solo a parole) o nel cancellare i finanziamenti ai dittatori amici degli Usa, per esempio. Certo, il mandato non è terminato, ma è altamente improbabile che cambi qualcosa nei prossimi mesi.
L’impressione che rimane, alla fine, è quella di un’amministrazione che è andata avanti a forza di compromessi deludenti senza realizzare davvero il sogno di un’America migliore. Certo, il buio inverno dell’era Bush è terminato, ma della primavera promessa non c’è ancora traccia.