di Marco Chiappetta
TRAMA: Hollywood, 1927 – George Valentin (Jean Dujardin), acclamato divo del cinema muto, dopo la prima di un suo film viene fotografato insieme alla giovane fan Peppy Miller (Bérénice Bejo): questa, finita in prima pagina, viene scritturata come attrice e inizia così per fortuna la sua inarrestabile ascesa nel mondo del cinema. Due anni dopo, con l’avvento del sonoro, la carriera di Valentin, attore di mimica e non di parola, è finita, mentre Peppy è ormai una stella consacrata e anche un po’ presuntuosa. La moglie Doris (Penelope Ann Miller) lo lascia, un suo film muto da regista viene ignorato, il suo nome è ormai finito nell’oblio: solo la gratitudine di Peppy può salvare l’uomo dalla sua disfatta esistenziale e artistica.
GIUDIZIO: Film evento al festival di Cannes, premiato giustamente per la migliore interpretazione maschile (Jean Dujardin, ne sentiremo ancora parlare), “The Artist” è un geniale, emozionante, straordinario omaggio al cinema muto: manieristico, con tanto di didascalie, bianconero d’epoca (ad opera di Guillaume Schiffman), inquadrature espressioniste e interpretazioni eccessive, rappresenta in tutto e per tutto l’amore per la settima arte, con una descrizione eccellente dell’ambiente hollywoodiano e una lezione di vero stile per raccontare, con mezzi tanto vecchi da risultare nuovi, una semplice storia di ascesa e declino, gloria e oblio, viali del tramonto e amori platonici-chapliniani, mischiando un po’ “Luci della città” e il narrativamente quasi omologo “Cantando sotto la pioggia”. Il regista francese Michel Hazanavicius scommette e vince nell’epoca del 3D e dei blockbuster fatti con lo stampino: fa cinema muto, quindi vero cinema, come non si vedeva da ottant’anni quasi. Hitchcock sosteneva che un film muto è tanto più bello e potente quanto riesce a fare a meno il più possibile delle didascalie. “The Artist” ha dialoghi ridotti all’osso, gag scoppiettanti, grandi invenzioni visive (l’incubo “sonoro” del protagonista), momenti di pura poesia che non abbisognano del pesante ingombro della parola a cui quest’epoca casinara e rumorosa e logorroica ci ha assuefatti. Tutta mimica e musica (di Ludovic Bource), ed ecco il fascino di un cinema vecchio ma mai moribondo, un cinema che diverte, esalta, raggiunge l’emozione senza troppi fronzoli, accontentando qualsiasi esteta e qualsiasi cinefilo. In questo film perfetto, postmoderno eppure originalissimo, l’arte dell’attore è tutto: Jean Dujardin, premiato e acclamatissimo, non ha nulla da invidiare a Fred Astaire e Clark Gable, e la sorprendente Bérénice Bejo, ‘charmante femme française comme il faut’, riempie lo schermo intero con la sua bellezza. Non manca, in questa grande opera d’arte, la presenza di caratteristi di una certa Hollywood d’autore: John Goodman, James Cromwell e perfino, in un brevissimo cameo, il Malcolm McDowell di “Arancia Meccanica”. Elogiato prima a Cannes, poi a Parigi alla grande anteprima nello storico cinema Grand Rex (con presenza dei due divi e del regista), il film – che in Italia sembra sarà distribuito dalla BiM Distribuzione in data da destinarsi – è destinato a diventare un cult di prima categoria. Imperdibile.
VOTO: 4/5