di Gianmarco Botti
“Apple ha perso un genio visionario e il mondo ha perso un formidabile essere umano”. Così, nelle poche parole di uno stringato comunicato ufficiale, il quartier generale della “Mela” condensa il senso di una perdita, quella di Steve Jobs, che non riguarda solo la sua azienda, ma il mondo intero. E lo si vede chiaramente in questi giorni, con la straordinaria quantità di tributi individuali e collettivi che la “i-generation” ha voluto dedicare alla sua guida spirituale.
“Da oggi il mondo è più povero”, disse nel dicembre 1966 l’allora governatore della California Ronald Reagan, commentando la scomparsa di un altro grande genio, quel Walt Disney che in tutta la sua vita non ha fatto altro che sognare e far sognare generazioni di piccoli e meno piccoli.
Non accade spesso che il nome di un uomo d’affari, sia pure un tycoon del livello di Jobs e Disney, abbia la forza di andare oltre il logo di fabbrica, affermarsi autonomamente nella coscienza di milioni di persone non solo per quel che ha fatto, ma soprattutto per quel che è stato. In questi rari casi il nome arriva addirittura a sopravvivere alla morte di chi l’ha portato, assurgendo all’immortalità. Ma cos’è che ha consacrato l’inventore dell’iPad e il creatore di “Biancaneve e i sette nani” a vita imperitura nelle vite di milioni di fans, discepoli, figli spirituali? In che modo una mela mangiucchiata e le orecchie di un topo possono cambiare il mondo?
“Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione”, dice Hegel. “Per l’uomo in quanto uomo non ha valore alcuno ciò che non può fare con passione”, gli fa eco Max Weber. Ed è indubbio che il successo non solo economico di uomini come questi sia frutto di quella passione che ne ha animato tutta la carriera e che prende forma in ogni loro opera. “Questa strana ebbrezza derisa da chiunque non sia iniziato”, la definisce ancora Weber, dando alla passione professionale un’aura quasi mistica, quella di una missione e di una vocazione straordinaria. “Ora, però, sta di fatto che, per quanto grande sia tale passione, per quanto autentica e profonda possa essere”, prosegue con il realismo del sociologo, “il risultato è ben lungi dal poter essere garantito”. “Un commerciante o un grande industriale privo di fantasia negli affari, cioè senza idee, senza idee geniali, è per tutta la vita soltanto qualcuno che rimane, nel migliore dei casi, un commesso o un impiegato tecnico: non produrrà mai innovazioni organizzative”. Passione, fantasia, ispirazione: è questo che fa la differenza, la chiave del successo vero. La sostanza del cosiddetto “sogno americano”. Grandi realizzazioni che conseguono a grandi idee, quell’unione magica di pensiero e azione, riflessione e pragmatismo che ha fatto la storia di una nazione.
E che trova una sua compiuta ed esplicita espressione, alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, in quel tempo di disperazione ma anche di molte speranze che fu la grande crisi economica, nella cosiddetta “filosofia del successo”. Basata sulle intuizioni che il geniale Napoleon Hill raccolse nel suo bestseller da oltre trenta milioni di copie, il cui fascinoso titolo è “Think and grow rich” (Pensa e arricchisci te stesso), essa congiunge il tradizionale motivo americano del successo personale ad un’originale impostazione di pensiero, in un connubio fecondo i cui risultati, secondo l’autore, sono garantiti.
“I pensieri sono cose” è il motto di Hill. E infatti il successo materiale e la realizzazione concreta dei propri scopi dipendono, secondo lo scrittore americano, dall’avere fede, credere fermamente in qualcosa, in un sogno. “Se puoi sognarlo puoi farlo”, ripeteva sempre Walt Disney. Pensare, credere, come presupposti del fare. È questo che caratterizza i grandi innovatori di ogni tempo, quelli che, attraverso i frutti del genio e della creatività, lasciano il mondo un po’ diverso da come lo hanno trovato: non un cieco fare senza una solida base di pensiero alle spalle, né uno sterile pensare che non abbia la forza di tradursi in realizzazioni concrete.
E in un tempo di grande incertezza per le speranze e i sogni dei giovani com’è questo che stiamo attraversando non meno di quanto lo fu l’era della grande Depressione, figure come quella di Jobs non possono che lasciare una traccia profonda. Fra tutti i “personaggi” che ogni giorno si presentano alla sua attenzione, la gioventù riconosce in esse delle vere e proprie “personalità”. È a questo che allude Weber quando, proseguendo il suo discorso sull’importanza della passione e dell’ispirazione nell’esperienza professionale, dice: “Un atteggiamento comprensibilmente popolare tra la gioventù si è posto al servizio di alcuni idoli, il cui culto vediamo oggi largamente diffuso a tutti gli angoli di strada e in tutte le riviste”. Queste parole, pronunciate dal prof. Weber davanti ad una platea di studenti all’Università di Monaco nel novembre del 1917, sono più che mai attuali oggi che una crisi di portata globale mette in forse il futuro di tanti giovani. Essi guardano attoniti e ammirati al successo di chi ce l’ha fatta, si è fatto da sé partendo dalla forza di un progetto e dalla determinazione nel realizzarlo. “Se milioni di persone non rendono omaggio soltanto al genio semplificatore di software ma al guru di una setta quotata in Borsa”, ha scritto Massimo Gramellini su La Stampa, “significa che nei nostri cuori è successo qualcosa di meraviglioso e terribile. Siamo affamati, direbbe Steve. Affamati di valori, di esempi, di storie di successo che indichino una direzione di marcia”. Eppure, conclude il giornalista: “Il passaggio successivo sarà smettere di rispecchiarci in qualche eroe mitizzato e risvegliare il piccolo Jobs che sonnecchia dentro ognuno di noi”. Lo stesso concetto Max Weber lo espresse allora con altre parole. Dopo aver denunciato la paralisi dell’azione, l’inerte attesa di sempre nuovi “profeti” che indichino la strada da seguire fra le tante possibilità, direzioni, scelte di vita che ci si aprono davanti, il professore ammonì severamente il suo giovane uditorio che “anelare e attendere non basta, e faremo altrimenti: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo alla richiesta di ogni giorno – come uomini e nella nostra attività professionale”. Ma come si fa a rimanere saldi, a continuare a credere nei sogni quando le concrete opportunità lavorative si assottigliano e con esse anche la speranza che quei sogni un giorno si realizzino? La risposta, lontana da ogni facile consolazione, ma dotata della forza necessaria per essere di stimolo a ciascuno, il professore la diede: “Ciò è semplice quando ognuno abbia trovato e obbedisca al demone che tiene i fili della sua vita”.