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“Drive”: poesia, violenza e amore nel noir metropolitano premiato a Cannes

di Marco Chiappetta

TRAMA: Los Angeles – Un esperto autista (Ryan Gosling), di giorno stuntman per Hollywood, di notte chauffeur per bande di rapinatori, vede una luce nella sua vita anonima e solitaria nell’incontro con la vicina di casa Irene (Carey Mulligan), giovane madre disperata: se ne innamora e si offre di aiutare il marito Standard (Oscar Isaac), delinquente di bassa lega appena uscito di galera, a compiere l’ultimo colpo. Ma qualcosa va male e, rimasto solo, si ritrova imbrigliato fatalmente in una spirale di violenza e sangue che non risparmia nessuno.
GIUDIZIO: Premiato per la miglior regia al festival di Cannes e tratto da un romanzo di James Sallis, il film di Nicolas Winding Refn è uno straordinario e suggestivo noir metropolitano, dalla violenza estrema, quasi surreale e fumettistica, con ascendenze pulp e una rara, encomiabile inclinazione alla poesia, costruito tutto sull’atmosfera alienante e cupa di una Los Angeles notturna infernale e cattiva, popolata di macchiette criminali quasi manieristiche e musicata da un angosciante sottofondo elettronico (memorabili i titoli di testa con “Nightcall” di Kavinsky e lo sguardo aereo su L.A.), ma soprattutto sul fascino e sulla mimica di un enorme Ryan Gosling: attore vero e finalmente consacrato, protagonista senza nome, senza vita, eroe romantico e giustiziere ultra-violento, quasi muto, offre un volto cinematografico che è un tableau di emozioni, sempre sospeso tra dolcezza e crudezza, proprio come il film, proprio come nella sequenza più bella del film: quella in cui nell’ascensore riesce nel giro di pochi attimi a baciare con infinito amore Irene e massacrare con infinita brutalità animalesca il suo nemico attentatore. La meraviglia del film è soprattutto ciò che Nicolas Winding Refn sa fare con la macchina da presa, offrendo, col pretesto di una storia dopotutto consunta di violenza amore redenzione outsiders disperati e nessun lieto fine neanche a pagarlo, un’originalissima e meravigliosa estetica cinematografica, plastica, virtuosa, crepuscolare e poetica, in cui tutto – silenzi, scene madri, primi piani, piano sequenza, inseguimenti, panoramiche, esplosioni splatter – è al proprio posto. La visione della metropoli inquietante babilonia futuribile e terribile ha antenati nel cinema di Scorsese, Mann, Tarantino, Ferrara e Cronenberg (quello di “A History of Violence” e “La promessa dell’assassino”) e nei romanzi del losangelino doc James Ellroy, ma la bellezza assoluta del film, coi suoi temi e la sua poesia, è tutta farina del sacco di un talento straordinario, proveniente dalla Danimarca e già all’ottavo film, e ormai difficile da dimenticare.
VOTO: 4/5