di Gianmarco Botti
“Chesta festa nun me piace. È americana, nunn è a nost”. Poche dichiarazioni umane sono spontanee, dirette e in definitiva vere come quelle che si esprimono in dialetto, attraverso lo strumento di comunicazione che ha la sua radice più profonda nel cuore autentico della cultura di un popolo. E così, la confidenza fatta dalla signora attempata alla sua comare alla fermata del pullman la sera della vigilia di Ognissanti, davanti allo spettacolo di un gruppetto di bambini mascherati da streghe e vampiri che vanno in giro con i loro sacchetti colmi di dolciumi, risulta davvero illuminante. È la risposta, non tanto di una persona o di una generazione in particolare, quanto di tutta una cultura e di una tradizione, all’annosa domanda che si pone ogni 31 ottobre: Halloween sì o Halloween no?
Una festa che divide, quella delle zucche e degli zombie, dei dolcetti e degli scherzetti. E così, mentre i bambini tirano fuori i loro costumi per trasformarsi in raccapriccianti creature da brivido e gli adolescenti si danno appuntamento nei locali per divertirsi immersi in atmosfere gotiche e ricostruzioni scenografiche da puro cinema horror, gli adulti discutono se e in che misura sia giusto dare spazio ad una ricorrenza come questa. Che non fa parte del nostro patrimonio storico e culturale, provenendo dall’universo anglosassone e dalle antiche tradizioni celtiche rimescolate in salsa consumistica sotto il marchio di fabbrica Usa. Che non c’entra niente con la nostra, questa sì, festa di Ognissanti, in cui la Chiesa Cattolica ricorda in una volta sola tutti i modelli, testimoni e martiri della fede la cui memoria percorre tutto l’anno liturgico.
Lo scontro sembra inevitabile, e il giorno di Halloween/Ognissanti diviene terreno di battaglia fra opposte ideologie, oggetto di confronto fra massimi sistemi, e ancora una volta tornano in ballo le imperiture antitesi fra laicità e credenze religiose, relativismo e Cattolicesimo, secolarizzazione e cultura cristiana. Mentre le vetrine dei negozi si affollano di zucche ghignanti e travestimenti da paura, si moltiplicano le iniziative di movimenti e associazioni cattoliche per offrire ai giovani alternative allo “sballo” e alla “superficialità” di Halloween. Vengono lanciati messaggi di condanna e di rifiuto nei confronti di questa festa e c’è anche chi, come la curia bolognese, si serve dell’ironia, consigliando di usare le zucche soltanto “per la vellutata o il ripieno dei tortelli”. Qualcuno propone anche, per evitare la spiacevole eventualità di vedere la propria casa presa d’assalto da piccoli mostri in cerca di caramelle, di esporre fuori la porta un avvertimento del tipo: “No Halloween. Non suonate, siamo cristiani”. Quasi che la fede religiosa possa essere intaccata da una sfilata di maschere. Quasi che una questione di per sé molto più ampia e interessante si possa ridurre in termini così banalmente polemici. È indubbio che esiste un’estraneità culturale, quella di cui parlava la signora alla fermata dell’autobus, della nostra tradizione nei confronti di questa festa. Ed è certo anche che la sua diffusione all’interno della società italiana, così come in quella di tanti altri Paesi, è favorita da scopi di carattere consumistico. Eppure perché prendersela tanto? Non è certo l’unico caso, né il più grave, fra tutti gli esempi di sfruttamento commerciale delle festività. Cosa bisognerebbe dire del Natale allora, laddove, tanto l’essenza autentica della festa che per i credenti ricorda la nascita del Salvatore, quanto la sua declinazione “universalistica” che ne fa una celebrazione dei buoni sentimenti e dello spirito di amore verso il prossimo, sono messe in ombra dalla spasmodica ricerca di regali?
Piaccia o no, è questo lo stato di salute di tutte le principali ricorrenze e festività nell’epoca del mercato capitalistico e globalizzato. Nessun motivo di scandalo, dunque, né c’è bisogno di lanciarsi, come fanno alcuni, in ridicole crociate anti-zucche. Un momento di libertà, un Carnevale a tema horror in cui ci si può divertire dismettendo per una volta all’anno i propri panni per vestirne altri, quelli delle nostre paure peggiori e fare in questo modo esperienza di quell’entusiasmante sentimento umano che è appunto la paura, al contempo esorcizzandolo e superandolo con l’ironia di una mascherata. Questo è Halloween. Qualcosa di molto più vicino al Carnevale che non ad un “festival dei satanisti”, come molti pure accusano. Ed è per questo che Halloween non indebolisce il senso della festa di Ognissanti semplicemente perché, essendo qualcosa di diverso, è con essa compatibile e non le si oppone. In questo giorno chi vorrà potrà scoprire il senso profondo di una festività religiosa, oppure cogliere l’occasione per un sano (sta alla responsabilità di ciascuno renderlo tale) divertimento; senza che il senso sia scalfito dal divertimento né che il divertimento possa essere condannato come lesivo del senso. Ognuno può festeggiare il 31 ottobre come crede ed è per questo che la compresenza di più tradizioni va vista come una ricchezza. Altra cosa sarebbe se la festa consumistica offuscasse del tutto, fino a sostituirla, la ricorrenza religiosa. Allora bisognerebbe essere d’accordo con il cardinale Bertone, Segretario di Stato vaticano, quando, inserendosi nel dibattito sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, disse: “Purtroppo questa Europa del Terzo Millennio ci lascia solo le zucche e ci toglie i simboli più cari”. E invece chi vorrà andrà dietro alle zucche, gli altri potranno celebrare le loro feste senza vedere offesi i loro “simboli più cari”. È il bello di potere scegliere: “Trick or treat?”.