di Giovanni Fantini
Martedì sera, prima, durante e dopo la partita – se così possiamo definirla- tra Italia e Serbia disputata a Genova, si è assistito a episodi di violenza , che quasi hanno riacceso nelle memorie degli italiani il ricordo di quel terribile G8 del 2001.
Alcuni gruppi di Ultras Serbi, nazionalisti di estrema destra, ancora caldi per i disordini provocati a Belgrado durante il Gay Pride di domenica scorsa, sono venuti in Italia a tenere alti i loro “ideali”. Da un intervista rilasciata da uno degli agitatori, è emerso che i gruppi avevano intenzione di “dire la loro su questioni politiche”. Quale miglior palcoscenico, dunque, se non una partita della Nazionale? Sono riusciti a distogliere l’attenzione da un evento come una qualificazione agli Europei 2012 e incentrarla su di loro. Hanno dimostrato al mondo intero che un gruppetto di appena trecento persone può decidere per un intero stadio colmo di persone di ogni età. Gli Ultras, infattti, erano giunti con l’intento di impedire il regolare svolgimento della partita sin dall’inizio, e né la Uefa né le autorità italiane sono riuscite a impedirglielo. Tanti tifosi, tante famiglie, erano accorse con la speranza di vedere gli Azzurri rinascere dalla pessima figura al mondiale in Sud Africa e hanno assistito, invece, a terribili momenti di tensione. Sotto i loro occhi hanno visto l’impotenza di un gruppo di poliziotti in tenuta d’anti sommossa davanti ai provocatori. I serbi sono riusciti a mettere in ginocchio una città. Solo a notte inoltrata sono stati rispediti a casa. Diciassette feriti, tra cui due carabinieri, trenta arrestati, tra cui il Capo Ultras Ivan Bogdanov (ripreso con il volto coperto e le braccia piene di tatuaggi, particolare che ha permesso la sua identificazione) e 138 tifosi identificati, ora sotto indagine. Più che un bilancio sportivo sembra un bollettino di guerra. Scattano subito le prime condanne, anche se tanti altri saranno processati in Serbia.
Le caratteristiche che hanno in comune i tifosi balcanici sono la violenza e il nazionalismo. Presenti, nella curva del Ferraris, striscioni contro l’indipendenza del Kosovo e bandiere Albanesi incenerite. Intonati, inoltre, cori contro l’ingresso della Serbia nell’Unione Europea. Argomenti che non c’entrano assolutamente nulla con una cerimonia sportiva. La scusante degli imputati, dunque? “In casa nostra non possiamo manifestare liberamente, c’è la dittatura” .
La domanda che sorge spontanea, ora, è: com’è possibile che, nonostante tutti i provvedimenti presi dal governo italiano contro le violenze negli stadi (tessera del tifoso, perquisizioni ecc.), martedì sera i delinquenti sono riusciti ad agire indisturbati? Ai tifosi italiani è proibito andare in trasferta, però, nel frattempo, si lascia entrare in uno stadio un gruppo di tifosi-banditi, già tristemente famosi in Europa, armati di oggetti di ogni sorta.
Non tardano ad arrivare le polemiche e le dichiarazioni da tutti i fronti. La Uefa ha aperto un’inchiesta sulla Figc (oltre che sulla nazionale Serba, che rischia da una sanzione disciplinare a una squalifica dagli Europei e dalle future manifestazioni Uefa), in quanto “la responsabilità di quanto è accaduto, non è solo della tifoseria ma anche della federazione ospitante che non ha garantito la sicurezza e le condizioni per il regolare svolgimento della partita.” Piovono accuse dal governo Serbo. Il vicepremier afferma che “l’intervento della polizia italiana avrebbe potuto essere molto più efficace, e che non si doveva permettere l’ingresso allo stadio a tifosi in possesso di oggetti vari”. Troppi, tuttavia gli interrogativi: mancati del tutto, per esempio, i contatti tra la polizia Serba e quella Italiana. L’ambasciatrice di Belgrado, inoltre, dichiara che “le forze dell’ordine italiane erano state avvertite della gravità della situazione”.
I giornali balcanici di ieri titolavano: “Vergogna, è la morte della Serbia”. Io credo, invece, che, in un mondo che va a rotoli, le vicende siano state soltanto la morte del Fair Play sportivo.