di Giacomo Palombino
Dopo aver parlato degli anni Sessanta, non si può tralasciare il ricordo di un altro decennio fondamentale per la storia della musica, quello che “l’Espresso” (qualche tempo fa) ha definito come “una ferita aperta nella storia del rock”. Parlo degli anni Settanta, e mi riferisco al punk, genere musicale che prese vita in quel periodo fra le coste degli Stati Uniti e le città della Gran Bretagna. Se in riferimento a Beatles e Rolling Stones ho parlato di “rivoluzione”, in questo caso mi sembra più corretto parlare di una “scintilla”, di un fenomeno che, anche se dotato di una forte carica rivoluzionaria, nasce e muore nel giro di pochi anni. Perché nonostante siano diversi gli artisti che cercano di farsi etichettare sotto la parola “punk”, in realtà la originaria essenza di questo, almeno nella musica, è venuta meno abbastanza velocemente. Ma attenzione, ricorda sempre il settimanale sopra citato, perché siamo di fronte ad una vera e propria “lapide”, la quale è un monito che ricorda che “il fuoco della ribellione può accendersi di nuovo, da un momento all’altro”.
Ma prima di addentrarci nello specifico, è giusto fare alcune osservazioni. Gli anni Settanta avevano senza dubbio il vantaggio della sperimentazione artistica del decennio precedente, la quale aveva dato un primo impulso verso uno stile musicale politicamente orientato. Ma tutto quello che prima era stato classificato come rock, come musica dura e sincera, ora si avviava verso il progressive, verso una disco music e un addolcito pop che cominciavano a divenire sempre più familiari; erano le avvisaglie degli anni Ottanta. Per questo motivo il punk viene visto come una breccia, come un cratere, come un meteorite catapultatosi nei nostri stereo. Una data, su tutte: il 1977. Questo è l’anno in cui fanno la comparsa i primi album di Clash e Sex Pistols, la mamma e il papà di questo nuovo stile. Ma attenzione. Niente nasce dal nulla; le caratteristiche principali del punk, come il volume assordante di chitarre distorte all’ennesima potenza, derivavano da altre band come Velvet Underground e Stooges, che avevano già dato vita a qualcosa di molto simile. È corretto quindi parlare di un nuovo genere musicale? Sarebbe riduttivo parlare in questi termini, perché in realtà si trattò di qualcosa di più complesso.
Sotto la sigla Punk (che sta a significare “di scarsa qualità”) vanno distinte diverse componenti. Da una parte la musica, a cui già ho fatto cenno. Dall’altra il punk inteso come subcultura giovanile, caratterizzata da un ideale forte di protesta, di rifiuto verso un controllo mediatico eccessivo, ricordata e ancora viva per il tipo di abbigliamento stravagante, le spille, le borchie, i giubbotti di pelle e le lunghe creste dipinte con colori fluorescenti.
Questa distinzione è di notevole importanza. Perché mentre il punk rock, come già vi dicevo, si esaurisce nel giro di poco tempo, la moda punk in un certo senso è sopravvissuta nella sua forma originaria. Ma non solo in questa. Infatti, fra gli anni Ottanta e Novanta, sono tante le subculture giovanili che, partendo da una radice comune, cominciano a svilupparsi in Europa e Stati Uniti, pensate per esempio agli Skinhead. Forse l’abbigliamento cambia, ma la filosofia di vita e l’avversione contro la società rimangono gli stessi.
E la musica? Non voglio confondere il lettore. La musica punk non è scomparsa, ma ha semplicemente perso quella componente ribelle che aveva prima. Perché definire i Green Day (almeno quelli dei primi album) un gruppo punk va bene, ma Billie Joe vicino a Johnny Rotten o Sid Vicious è decisamente una “femminuccia”. Si può affermare con certezza che negli ultimi anni il genere si è andato sviluppando verso nuove forme, soprattutto grazie al contributo di band californiane che lo hanno proiettato in un’atmosfera notevolmente più pop. Così nasce il pop-punk, che ha dato vita a fenomeni come Blink 182 o Sum41. Ma la California è stata la patria di numerose altre band che, pur con un sound e uno stile notevolmente rivisitato, hanno dato nuova vita alla musica degli anni Settanta, come Rancid o NOFX.
Ma la vera caratteristica del punk rock è la semplicità, il lasciare sempre un messaggio diretto all’ascoltatore, il non aver vergogna di nascondere il proprio sentimento e farlo appunto grazie ad una struttura musicale essenziale. “Ecco un accordo, adesso metti su un gruppo”, era questo lo slogan sotto il quale nel ’77 nasce gente come Joe Strummer. Parlare del punk significa parlare di persone sfacciate, di persone che, come il già citato Rotten, non hanno paura di dire “Dio salvi la Regina e il suo regime fascista”.
Mi sono solo limitato a citare alcuni nomi che hanno caratterizzato quel decennio, lasciando trattazioni più specifiche a nostri futuri appuntamenti.