di Giacomo Palombino
Esiste un momento che, presto o tardi, arriva per tutti: quello in cui ci si rende conto di essere arrivati ad un limite, di essere giunti su una soglia invalicabile che si chiama “fine”. Questo è quel momento in cui è necessario dire basta, lasciarsi alle spalle tutto quello che è stato e dedicarsi a qualcosa di diverso, per intraprendere, perché no, una nuova strada . Naturalmente, questo momento ha una maggiore o minore rilevanza in base alla persona che lo vive, e la scelta di superare quel confine è più o meno facile a seconda della posizione che si ricopre. Pensate a personaggi noti, dallo sport alla politica. Grandi campioni, arrivati a una certa età, si rendono conto che la loro ora è suonata; per alcuni accade prima, per altri accade tardi, come per l’immenso Paolo Maldini. Pensate a uomini della politica, che vedendo venir meno il consenso nei propri confronti, decidono di dimettersi e abbandonare la scena (o almeno così pare).
Questo momento arriva, naturalmente, anche per i grandi dello spettacolo, dell’arte, e quindi della musica. Ma ascoltando la radio o vedendo le uscite frenetiche di nuovi album giorno dopo giorno, è facile rendersi conto che un musicista giunge a quel limite più tardi rispetto che ad altri, riesce a sopravvivere in maniera più agevole allo scorrere del tempo. Il problema è come si affronta questa sopravvivenza, che talvolta, a mio parere, è un’agonia. Durante quest’ultima, alcuni riescono a prendere la loro decisione: pensate all’annuncio, al centro dell’attenzione del pubblico italiano durante i mesi scorsi, di Vasco Rossi, che si dichiara “depresso” e decide di “dimettersi” da rocker. Ha preso la sua scelta, e l’ha presa a modo suo. Continuerà a fare il cantante ma non la rockstar, non la bestia da palcoscenico, forse appesantito anche dai sessant’anni che si porta sulle spalle.
Altri, invece, decidono di affrontare questa agonia e quindi di ripetersi, di riproporsi; ma, riproponendosi, stancano. Questa idea mi è venuta ascoltando alla radio i nuovi pezzi di quei due fratelli che, dopo aver formato la band considerata dai critici degli ultimi anni l’erede dei Beatles, hanno deciso di separarsi per percorrere due strade diverse: mi riferisco agli Oasis e loro sono Liam e Noel Gallagher. Nel 2009 Liam, in una dichiarazione al “Times” afferma: “Gli Oasis non esistono più, è finita”.
Apparentemente, quindi, la loro decisione l’hanno presa. Ma non è stata realmente la loro fine. Liam ha in sostanza continuato a suonare con la vecchia band ribattezzandola “Beady Eye”, mentre Noel ha intrapreso una carriera da solista. È in questa separazione che trovo il difetto.
Quando gli Oasis cantavano “Wonderwall” venivano considerati degli innovatori, e le loro canzoni, anche se la fantasia non è mai stata il loro forte, portavano la firma dei Gallagher proprio in quel sound e in quel modo di cantare che si ripeteva ogni volta. Quando si sono separati, la composizione di brani da parte loro non è mancata e si è basata sulla stessa impronta dei successi del passato. Ma anche un marchio inconfondibile e amato da tutti prima o poi scade, e quando ciò accade bisogna rendersene conto. Le soluzioni a quel punto potrebbero essere due: ripetere tutto ciò che ha reso grande il marchio oppure rinnovarlo. Ma è sbagliato continuare a comporre credendo che nuovi brani diventeranno grandi solo per una firma ormai scaduta; e questo è sbagliato perché, in questo modo, tutto ciò che si è fatto di buono, viene oscurato e prima o poi anche evitato da molti che si sentono stufi della solita “cantilena”.
Bisogna allora mollare, lasciare tutto, dimenticare la scena e sparire per sempre? No. Bisogna essere capaci anche di sapersi riproporre. Ci sono strade diverse per fare ciò, ci sono soluzioni varie da prendere una volta giunti su quel confine, sono tanti i modi in cui si può vivere quel momento di cui parlavo prima. Non esistono Peter Pan nella musica: le star invecchiano, e purtroppo sono tanti i nomi che si potrebbero fare. Ma avendo consumato le orecchie a furia di ascoltare brani come “Lyla” o “Morning Glory”, dico una cosa: se la scelta deve essere quella sbagliata, è meglio prenderla in due, perché altrimenti il marchio non solo scade, ma viene anche dimenticato.