di Gianmarco Botti & Renata Rallo
C’era una volta Biancaneve. E il suo geniale creatore, Walter Elias Disney. Era il lontano 1937 e la crisi economica attanagliava ancora gli Stati Uniti. Ma alcuni giovani intraprendenti, pieni di coraggio e di entusiasmo, lottavano contro le avversità per realizzare i loro sogni e restituire al Paese l’egemonia economica e culturale che gli competeva. Disney era uno di loro. “Se puoi sognarlo puoi farlo”, ripeteva sempre a se stesso e ai suoi collaboratori. Un motto che è un vero e proprio marchio di fabbrica, di quella fabbrica di sogni che la Walt Disney Pictures è sempre stata. E il vecchio “zio Walt” per tutta la sua vita non ha fatto altro che questo: sognare e far sognare milioni di persone attraverso i suoi film, i suoi personaggi, i suoi parchi a tema. Cominciata nel bel mezzo dell’assoluto nulla della vita di provincia e culminata poi nell’ascesa alla magica collina di Hollywood, la sua incredibile storia interpreta in pieno il cosiddetto “sogno americano”. Una categoria quasi mitologica eppure estremamente concreta, come si può vedere sfogliando le biografie di decine di imprenditori, politici, uomini di cultura che hanno fatto grande la storia degli Usa: gente che, partita dalla totale mancanza di mezzi, con in tasca solo i propri sogni e nient’altro, ha combattuto contro ogni difficoltà superando i limiti imposti dalla sorte con spirito di sacrificio e in questo modo ha raggiunto il traguardo che si era proposta. Così ha fatto Disney. Così hanno fatto anche i protagonisti dei suoi film, specialmente quelli del primo periodo, con i quali la sua casa di produzione si guadagnò un posto speciale nel firmamento del cinema americano.
È qui che nasce Biancaneve. Il canto con cui inizia la sua storia, con quel “Some day my prince will come”, esprime appieno la speranza di riscatto sociale che la fanciulla, schiava della malvagia matrigna, nutre nel cuore in attesa che il suo bel principe venga a prenderla con sé. “Some day when my dreams will come true”, e il suo sogno d’amore non si avvererà prima che Biancaneve abbia affrontato innumerevoli peripezie e sia passata addirittura attraverso la morte. Enormi ostacoli deve superare anche il piccolo elefantino protagonista di “Dumbo” per trasformare l’handicap delle sue orecchie gigantesche in una risorsa che lo renderà, da fenomeno da baraccone qual era, una star del circo e non solo. Il punto di svolta per Dumbo è rappresentato dalla scoperta di una fantomatica “piuma magica” che gli offrirà la fiducia in sé stesso necessaria a fargli prendere, concretamente e metaforicamente, il volo. “La fede, come fiducia nella realizzazione del desiderio, è una condizione mentale che può essere indotta dall’autosuggestione”, scrive Napoleon Hill, padre della cosiddetta “filosofia del successo” e cantore dei miracoli della forza di volontà. Fede, desiderio, sogno. È questo il filo rosso che attraversa molti dei capolavori dei primi decenni. E, cercando sul web fra le citazioni che riguardano il tema del sogno, sicuramente vi capiterà di imbattervi in una delle più famose canzoni Disney di tutti i tempi. A cantare è una fanciulla bionda, svegliatasi appena da un dolce sonno, ed intona così ai suoi amici animali: “I sogni son desideri di felicità. Nel sonno non hai pensieri, li esprimi con sincerità. Se hai fede chissà che un giorno la sorte non ti arriderà, tu sogna e spera fermamente, dimentica il presente e il sogno realtà diverrà”.
Quante volte da bambini abbiamo sognato ad occhi aperti mondi fantastici e storie meravigliose? Credevamo che tutto fosse possibile, reale nella misura in cui il sogno prendeva il sopravvento sulla realtà. E la nostra concezione infantile dei sogni assume senza dubbio i tratti della povera “Cenerina”, che spera fermamente che un giorno i suoi desideri possano avverarsi, senza però mostrarsi mai attiva rispetto al suo scopo.
Cenerentola è serva nella sua stessa casa a favore della matrigna e delle due famigerate sorellastre che, insieme al gatto Lucifero (nomen omen), la tiranneggiano mattina e sera mentre i suoi unici amici sono il cane Tobia, i topini e gli uccellini che l’aiutano in tutto: dalle faccende domestiche alla confezione di un abito per andare al ballo del principe, fino al recupero di una chiave che aprirà la porta dei suoi sogni. Sicuramente, nonostante l’affetto che tutti abbiamo verso di lei, non possiamo considerarla un’eroina in quanto proprio per il suo carattere pacifico e sottomesso, non combatte in nessun modo per i suoi sogni. Sono altri che, prendendo le sue difese, ne saranno i fautori: soprattutto la Fata Smemorina, la potenza magica per eccellenza che, col suo celeberrimo “Bibbidi bobbidi bu”, permette alla ragazza di andare al ballo con tanto di vestito e carrozza, quello stesso ballo a cui le perfide sorellastre e la matrigna le avevano impedito di avvicinarsi, prima sommergendola di lavori domestici e successivamente strappandole l’abito.
Cenerentola è l’attesa. È l’eterna fiducia, l’eterna speranza; quella che, confidando nella propria bontà e rettitudine, attende di essere ripagata da una qualche provvidenza divina. È decisamente un personaggio che “non si sporca le mani” .
Ma con questo non vogliamo dire che bisogna rinnegare la speranza a favore di un realismo quanto mai oppressivo della stessa o la fede a favore di ciò che è intellegibile. Bisogna piuttosto tendere il più possibile al connubio tra fides et ratio: la forza che ha l’uomo di combattere e di trovare la forza in sé per raggiungere i propri scopi senza mai perderli di vista. Una figura di questa unione può essere ritrovata nella storia di Pinocchio che Walt Disney magistralmente rielabora nel suo secondo capolavoro, appena tre anni dopo Biancaneve e dieci prima di Cenerentola. Perché se è vero che tutto inizia con la preghiera di Geppetto alla stella dei desideri (che si rivelerà essere la Fata Turchina), l’onere e la responsabilità delle azioni atte alla realizzazione del sogno non saranno d’altri che di Pinocchio. Vediamo bene all’inizio come la Fata ammonisce il burattino di legno consigliandogli di essere buono, bravo e disinteressato se desidera diventare un giorno un bambino vero, (desiderio espresso inizialmente dal “padre” falegname).
Non basta dunque sperare, bisogna agire ed agire bene! Scrive Machiavelli negli ultimi paragrafi de “Il Principe”: “La fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi”. Ed ecco che il punto diventa più chiaro: Pinocchio, così come ogni uomo, non può restare inerte nell’attesa come Cenerentola, può e deve sperare sì nell’aiuto della Fortuna ma ha bisogno di fare i conti con se stesso e con i colpi che il fato potrebbe sferrargli. Accompagnato dalla sua Coscienza, deve andare nel mondo e trovarsi davanti a delle scelte che non sempre affronterà in piena consapevolezza, finendo inevitabilmente per pagarne il prezzo. In particolare egli incontrerà sulla sua strada le “Tentazioni”, che nel film assumono le maliziose sembianze del Gatto e della Volpe, ma che nella vita di tutti i giorni prendono infinite forme e varietà. Eppure, proprio nel momento in cui, all’interno della pancia della balena, egli è solo, senza né la Fata né il Grillo che possano consigliargli, Pinocchio saprà trovare la giusta idea che salverà lui e il padre e gli guadagnerà la realizzazione del suo sogno. È qui che la massima di Machiavelli si intreccia indissolubilmente con la nostra vita e con quella del burattino: dobbiamo fare in modo che ci possa essere dato dalla vita tutto l’aiuto di cui abbiamo bisogno e insieme essere preparati quando questo non è possibile. Sarà facile, vedendo alcune scene, giudicare Pinocchio uno sciocco credulone, ma se ci fermassimo un attimo vedremmo che c’è anche qualcos’altro: il burattino riesce a diventare un bambino vero realizzando non solo il suo, ma anche il sogno del padre. Noi cosa siamo disposti a fare per i nostri sogni? Di più: possiamo ancora parlare di sogni?
La verità è che andando avanti con gli anni i sogni cambiano, a volte perdono di colore e diventano ambizioni lavorative, accademiche, sportive. E allora sognare e sperare non basta più. Iniziamo a credere solo ed esclusivamente in noi stessi, dimenticando le preghiere che da bambini ci hanno accompagnati nel sonno e nella veglia. Allora assomigliavamo alla piccola Penny, l’orfanella di “Le avventure di Bianca e Bernie”, quando, ripiegata sul suo lettino a mani giunte implorava che qualcuno giungesse a liberarla dalla perfida Medusa, tenendo continuamente accesa la fiamma della speranza. Era stato Rufus, un vero e proprio “gatto filosofo”, ad insegnarle che “la fede è un uccellino blu, che vedi distante. Non puoi averlo o comprarlo, non si fa catturare però c’è ed è proprio lui, proprio lui che fa tutto avverare”. Un’immagine tenera che può apparirci anche un po’ ingenua in un’età in cui non ci sembra più il caso di affidarci a stelle, uccellini o preghiere e la maturità porta con sé l’idea che solo noi siamo artefici del nostro destino. Una maturità che anche la Disney ha raggiunto, accompagnando il nostro processo di crescita, con l’ultimo lungometraggio in “stile classico”: “La principessa e il ranocchio”. Ancora un grande sogno, ancora un principe, ancora una stella. Una storia tradizionale, attinta nuovamente dall’universo delle fiabe, ma fortemente innovativa perché inserita in una cornice più che mai moderna come quella della New Orleans capitale del Jazz negli anni ’20. Il sogno moderno è quello di un ristorante dove la protagonista immagina di poter donare gioia alle persone attraverso i piaceri del cibo e realizzare se stessa e le proprie capacità culinarie. Era stato il padre ad avvertirla da bambina, quando i semi del suo sogno cominciavano a germogliare: “Quella stella può aiutarti a fare solo un pezzo di strada, tu dovrai darle una mano impegnandoti sempre e lavorando”. E se alla fine Tiana vedrà il suo sogno diventare realtà sarà esclusivamente grazie alla sua costanza e spirito di sacrificio senza che ci sia nessuno al suo fianco, nessuna Fata Smemorina ad aiutarla. Al contrario, un perfido mago voodoo tenterà di contrastare i suoi progetti attraverso le arti oscure. E nel momento della difficoltà Tiana darà voce a tutta la nostra insofferenza, quella che subentra quando i sogni che coltivavamo da bambini ci sembrano lontani dall’avverarsi e si trasformano in delusioni: “Così imparo ad affidarmi ad una stella, l’unico modo per ottenere qualcosa nella vita è lavorare duramente”.
Sembra di risentire ancora una volta il Grillo quando proponeva a Pinocchio una strada in salita per realizzare il suo sogno, fatta di determinazione e buona volontà, e così lontana da quelle “vie più facili verso il successo” che gli venivano prospettate dalla Volpe. “Davanti a due strade divergenti in un bosco, mi incamminai lungo quella meno battuta, e questo ha fatto la differenza”, è l’insegnamento di Robert Frost.
E nella nostra mente riecheggia ancora la voce del gatto Rufus quando ci aiuta a comprendere che nessun sogno (né la fede in esso) “puoi averlo o comprarlo”, perché “non si fa catturare”. Ed ecco che nell’ultimo film il malvagio dott. Facilier (il cui nome dice già molto) esibire un biglietto da visita che porta scritta, fra le altre, l’altisonante specializzazione in “sogni realizzati”, quasi che quello di realizzare i sogni degli altri possa essere un mestiere. Appare chiara, alla fine di questo itinerario nel passato e nel presente della Disney, il messaggio che tutti questi film ci hanno voluto trasmettere: i sogni non si comprano, ma si realizzano a costo di grandi fatiche. Ed è così che la storia della casa di animazione e dei suoi capolavori ci rivela la sua unità e quella che sembra e senz’altro anche è un’evoluzione verso una più piena maturità, si presenta nella luce della continuità. In fondo non siamo mai tanto cresciuti da non amare più le favole, da non credere più nei nostri sogni. Da Biancaneve a Tiana corre un unico filo e il cerchio si chiude. Chissà…
Libera interpretazione de “La Principessa e il Ranocchio” ad opera di Luigi D’Antò