di Margherita K. Budillon
Oltre due metri di lunghezza, 700 chili di peso: il tonno è certamente uno dei re del mare. Come l’uomo, è a sangue caldo e la capacità di regolare la temperatura del suo corpo gli permette di migrare attraverso gli oceani, nuotando ogni anno migliaia di chilometri ogni e sopravvivendo in condizioni ambientali molto diverse.
Il tonno, però, non sembra riuscire a mettersi in salvo dalla pesca industrializzata che sta minacciando gravemente il suo regno.
L’organizzazione ambientalista “Greenpeace” da sempre lotta per la salvaguardia dei mari del pianeta; in particolare, Greenpeace Italia si concentra da anni sulla salute del Mediterraneo, insidiato dallo sfruttamento delle risorse e dalla pesca illegale.
La pesca indiscriminata del tonno, la conserva ittica più consumata in Italia, è da qualche anno sotto il mirino dell’associazione, che dal 2008 conduce un campagna di denuncia contro l’industria di questo tipo di pesce, che non fornisce trasparenza sui metodi di pesca, sulla provenienza del pescato e sulle differenti specie di tonno che finiscono nei nostri supermercati.
Lasciando noi consumatori nell’ignoranza riguardo ciò che mangiamo, le aziende rendono ognuno complice inconsapevole della distruzione dell’intero ecosistema marino. Questa situazione cambierà soltanto quando sapremo davvero cosa finisce nei nostri piatti.
Conducendo parallelamente una campagna di informazione, dai sondaggi di Greenpeace emerge che il 97% dei votanti non continuerebbe a comprare tonno in scatola se sapesse che per pescarlo vengono uccisi migliaia di squali e tartarughe.
Ma qual’è la verità sulle cosiddette “catture accessorie”?
L’uso di metodi di pesca distruttivi, come i palamiti e le ampie reti che implicano l’uso di FAD, ovvero oggetti galleggianti utilizzati per attirare pesci o altri animali marini, causa ogni anno la morte di migliaia di uccelli, mante, squali, tartarughe e delfini.
I dati sono impressionanti: si è calcolato che su 10 chili di tonni catturati si pesca un chilo di altri animali “indesiderati”, tra cui specie a rischio di estinzione.
Addirittura, il 98 % dei consumatori attesta che la scritta “Ingredienti: tonno” non sia un’informazione sufficiente a sapere che tonno si mangi.
Per quanto il tonno scatola presenti sempre lo stesso aspetto rotondo e rosato, in realtà le specie di tonno sono molto diverse tra loro. Cinque tra le otto specie interessanti dal punto di vista commerciale sono ritenute a rischio di estinzione. Tra le specie minacciate vi è il tonno rosso che, come sanno gli amanti della cucina giapponese, è alla base del lussuoso mercato del sashimi; e il tonno pinna gialla, il più usato in Italia, conosciuto come simbolo di numerose campagne pubblicitarie (celebre quella del marchio “Rio Mare”) e ormai giudicato una specie sovrasfruttata.
Da tempo la situazione attuale avrebbe dovuto far scattare misure precauzionali che garantissero la sostenibilità della pesca, ma la mancanza di una gestione efficace minaccia quello che è il tonno preferito dagli italiani.
Una volontà da parte del consumatore, come detto, esiste. Ma non c’è dalle parte delle aziende.
I dati ricavati dal monitoraggio condotto tra settembre e ottobre 2011 in 173 punti vendita sulle etichette di oltre duemila scatolette dei marchi più diffusi in Italia, rilevano che l’industria del tonno in scatola non ci dice tutto.
Tra i marchi meno trasparenti “MareAperto STAR”, “Maruzzella”, “Consorcio” e “Nostromo”. Nella metà dei casi quando mettiamo del tonno nel carrello della spesa non sappiamo che specie di tonno mangiamo (solo “AsdoMar”, “Coop”, “Esselunga” forniscono informazioni a riguardo), pochi indicano da dove arriva (“AsdoMar”, “Coop”, “Mareblu”) e quasi nessuno specifica come è stato pescato (solo “AsdoMar”).
Non si offrono quindi informazioni sufficienti per permettere una scelta consapevole a chi compra, nell’orientarsi tra i vari marchi disponibili.
Ma come dovrebbero comportarsi le aziende italiane, dal momento che sul mercato ancora non esiste una marca di tonno che sia sostenibile al 100 %?
Una nuova legge, approvata a inizio 2011, in realtà stabilisce nuove regole in materia di etichettatura per alimenti trasformati e non. Tra questi dovrebbero rientrare anche le conserve di tonno, ma non è chiaro come le filiere alimentari si adatteranno. Questa norma, se applicata, obbligherebbe le aziende a specificare almeno la provenienza del tonno utilizzato.
La parola dei consumatori, comunque, è ancora chiara: il 34% indicherebbe ai grandi marchi di acquistare solo tonno pescato in modo sostenibile.
Il mercato britannico ha già agito in questo senso: da qualche anno, infatti, i principali marchi inglesi del pesce hanno deciso di acquistare solo tonno pescato con amo e lenza, senza l’uso di FAD, e di evitare le specie a rischio, preferendo quelle meno sfruttate.
L’alternativa è quindi possibile. Proteggere la vita dei tonni comporta benefici non solo per gli altri animali marini e per l’ecosistema, ma per l’intera comunità costiera, per un turismo sostenibile e per la pesca tradizionale.
E noi, che cosa stiamo aspettando?