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Come te non c’è nessuno: ricordo di un vero artista

di Giacomo Palombino

Non è cosa piacevole essere definiti arroganti, presuntuosi o egocentrici: l’uomo comune, che fa una vita comune e che svolge un lavoro comune, non si sente di certo onorato ad essere definito con questi termini. Ma il discorso cambia quando prendiamo in considerazione una persona nota, una persona che insomma comune non è. L’argomento di oggi è proprio questo, ed in parte si ricollega ad un altro articolo di questa rubrica dove si è trattata l’importanza dell’immagine nel mondo della musica: il tema è in parte l’arroganza, in parte la presunzione, in parte l’egocentrismo, intesi non come caratteristica sgradevole e poco apprezzata di un individuo, ma come gli ingredienti segreti per sconfiggere quella forza inesorabile chiamata gravità e per avvicinarsi ad una dimensione diversa, quella delle stelle: la dimensione dove non c’è nulla di comune, dove niente è scontato e prevedibile. Qui vivono le cosìddette rock-star.
Sono del parere che l’argomento che si sta trattando possa essere abbinato a tante altre branche dello spettacolo e della vita pubblica in generale, ma qui mi limiterò solo alla parte che interessa a questa rubrica, la musica appunto. È questa, infatti, una forma d’arte dove il saper attirare l’attenzione ed il sapersi dimostrare superiori rispetto a chiunque altro, sono doti di non indifferente rilievo. Tutti i più grandi musicisti sono stati in grado di porsi al centro dell’attenzione, non solo per le loro doti canore o per la loro tecnica nel suonare uno strumento, ma perché, oltre a questo, conoscevano quegli ingredienti di cui vi ho parlato, e hanno saputo, nella maniera più esatta possibile, mischiarli e dare vita a prodotti di estrema rarità: è questo il cocktail del successo.
Il mio riferimento all’immagine non era casuale. È proprio tramite questa, infatti, che si rintraccia quel saper essere arroganti ed egocentrici, tramite quelle tute aderenti indossate dal grande Freddy Mercury o tramite quegli atti, di certo poco “cortesi” per molti, di Jim Morrison durante alcuni dei suoi concerti. Attenzione, perché il loro sapere stare, anche in maniera eccessiva, al centro della scena non è qualcosa di fine a se stesso, bensì portatore di un dato messaggio: ma quello che la persona comune spiegherebbe a parole, la star lo spiega con i fatti, con le urla, con atti a volte violenti o eccessivi, ma di straordinario impatto visivo e di ancora maggiore capacità comunicativa. E non fa ciò in quanto persona sgradevole, ovviamente, ma sfruttando proprio la componente visiva, l’immagine, la quale nasconde una persona che arrogante o presuntuosa non è. Sto parlando, come molti di voi avranno capito, di quella che spesso viene definita “finzione scenica”, ma che in maniera più semplice e comoda può essere definita finzione e basta. Non voglio definire finto il messaggio, non fraintendetemi, se così fosse non potrei neanche parlare di musica; ma definisco finto il modo in cui questo viene comunicato, cioè l’immagine. Ma l’immagine è finta in quanto apparente, e, così come disse un ignoto sapiente vissuto nella notte dei tempi, l’apparenza spesso è ingannevole.
Fin qui quello che dico può sembrare scontato, ed è per questo che non voglio parlarvi di chitarristi o cantanti che tutti conoscete ed ascoltate, ma voglio farvi un nome nuovo, che con la sua arroganza e il suo talento è stato in grado di cambiare il modo di suonare uno strumento che tutto è meno che appariscente: mi riferisco al basso, nome che già dà l’idea di qualcosa che non risalta alla vista, e sto parlando di Jaco Pastorius, che dovendosi presentare ad altri colleghi musicisti ebbe l’arroganza di dire: “Sono John Francis Anthony Pastorius III, il bassista migliore del mondo”. Forse per molti di voi questo nome non dice nulla, ma posso assicurarvi che la sua importanza nella musica, e quindi per il suo strumento in particolare, è pari a quella di Jimi Hendrix per la chitarra elettrica; lo stesso Jaco disse: “Io ed Hendrix abbiamo costruito le Twin Towers”. Già, Pastorius è stato un vero innovatore, trasformando il basso in uno strumento solista, divertendosi nella sperimentazione di tecniche e stili differenti e condizionando il modo di suonare della maggior parte dei bassisti che noi oggi conosciamo, dal pop all’heavy metal. Voi potreste giustamente dirmi che non sono molti i bassisti che vi vengono in mente, o almeno non altrettanto numerosi rispetto ai cantanti o chitarristi che conoscete; ma io vi rispondo che il punto centrale della mia riflessione è proprio questo. Pastorius ha portato al centro della scena qualcosa che chi non ha mai suonato in una band definisce inutile e impercettibile, ma che così non è nella maniera più assoluta. E ci è riuscito proprio tramite quell’arroganza, quella presunzione, quell’egocentrismo che si notano nelle frasi sopra citate; quello stesso atteggiamento che, in un certo senso, ne causò la scomparsa. Non voglio darvi altre nozioni, risulterei ripetitivo, e non voglio darvi neanche altre notizie su questo straordinario artista. Spero in questo modo di suscitare, per coloro che non hanno mai sentito la sua musica, una curiosità, e, per coloro che hanno già avuto modo di incontrarlo e selezionare il suo nome su You Tube, la voglia di ascoltarlo ancora. Vi rimando a “The Chicken”, uno dei miei pezzi preferiti.