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Catturato Zagaria, capo dei Casalesi ed espressione di una criminalità imprenditoriale

di Roberto P. Ormanni

E’ finita. Oggi, Michele Zagaria ha conosciuto l’epilogo già scritto della sua carriera criminale. Il superlatitante cinquantatreenne, capo del clan dei Casalesi, è stato arrestato a Casapesenna, in provincia di Caserta, nella sua terra, da una squadra di 350 agenti coordinata dal vicequestore primo dirigente del Servizio centrale operativo Vittorio Pisani. L’hanno trovato rintanato sotto terra, nascosto, in un bunker costruito in un anonimo appartamento di vico Mascagni e coperto da una botola. In trappola, come ogni boss durante la propria fine predetta, a mo’ di scarafaggio.
“Capastorta”, soprannome criminale di Zagaria, era l’ultima mente dei Casalesi in circolazione (almeno secondo le conoscenze degli inquirenti), in fuga da sedici anni, da quando il suo nome entrò nella lista dei condannati del processo “Spartacus” del 1995.
Mossi primi passi durante gli anni ’80, nelle file di Antonio Bardellino, primo boss dell’organizzazione criminale casertana e antagonista della NCO di Raffaele Cutolo, Zagaria ha avanzato una carriera criminale caratterizzata non tanto da delitti e forza bruta, quanto da una capacità imprenditoriale ed economica-criminale, rafforzata anche dal contributo dei fratelli Carmine, Antonio e specialmente Pasquale, detto “Bin Laden” (in manette nel 2007).
Gli Zagaria rappresentano al meglio il nuovo volto della criminalità organizzata. Una criminalità trasformata e volta al rinnovamento, capace di stringere qualunque mano del potere, fatta da uomini d’onore invisibili, che limitano l’uso della violenza, preferendo il business al sangue.
Michele Zagaria: una firma che raramente si ritrova imputata in episodi di mattanza, legati all’ala militare del clan. Sin dall’inizio, infatti, “Capastorta” viene segnalato dagli inquirenti per le sue “visite” per conto dei padrini nei cantieri delle opere pubbliche della zona. Era il 1995. Da lì, una carriera infinita: dal redditizio ciclo del cemento fino agli affari dell’edilizia. Campania, Lombardia, Emilia Romagna: un impero degli affari senza frontiere.
Le mani di Michele Zagaria e dei Casalesi, durante gli anni ’90, si allungano sul mercato campano del latte. Il clan arriva a chiedere un pizzo di 400 milioni di lire all’anno ai due marchi operanti: Cirio prima e Parmalat poi. Nessun dirigente delle due aziende denunciò mai la situazione.

Sempre nei primi anni ’90, durante gli appalti per la costruzione dei treni ad alta velocità (TAV) che collegano Napoli a Roma, Zagaria riuscì a infiltrarsi, arbitrando le gare secondo gli interessi della cosca.
Negli anni 2000, invece, la scommessa sull’edilizia al Nord attraverso la sua ditta “EdilPadiro”: un dialogo costante con le imprese commerciali di Parma, investimenti di capitale immobiliare in Emilia Romagna e in Lombardia. Porte aperte nelle banche, tra i commercialisti, tra gli imprenditori. Un capo criminale, Michele Zagaria, tirato a lucido e inserito direttamente negli uffici degli affari.
E ancora, tra il 2003 e il 2006, gli appalti e i subappalti in Campania, in provincia di Caserta e nel Napoletano: l’ampliamento e l’ammodernamento della Ferrovia Alifana, la realizzazione del nuovo Centro Radio Ricevitore della NATO a Licola.
Una rete immensa di contatti, che testimoniano un potere criminale assoluto e una vita pubblica in perenne collusione con la criminalità organizzata.
Nel momento dell’arresto di Michele Zagaria, oggi, a Casapesenna, sono intervenuti i procuratori Cafiero de Raho, Raffaele Falcone, Marco Del Gaudio e Catello Maresca. Proprio quest’ultimo, rivolgendosi al boss che sarà affidato al carcere di Novara in regime di 41 bis, ha dichiarato: “Come mi ha insegnato il mio maestro Franco Roberti (l’ex capo dei magistrati antimafia di Napoli, oggi alla guida della procura di Salerno n.d.a.), è finita”. Il capo dei Casalesi ha risposto con tono ironico: “E’ finita. Ha vinto lo Stato!”.
E, forse, sono queste ultime le parole più preoccupanti, quelle che fanno rabbrividire per il tono beffardo utilizzato e che fanno risuonare forti nella testa una dichiarazione di Carmine Schiavone, pentito eccellente della camorra casalese, che interrogato disse: “Noi non abbiamo mai pensato di essere l’antistato. Noi siamo lo Stato”.
Oggi è finita. Domani, purtroppo, ricomincia.