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Uwe Boll colpisce ancora

di Brando Improta

Ci sono registi che sanno conquistare per la magnificenza e la spettacolarità delle immagini da loro prodotte nei film, altri che conquistano per i temi morali o civili trattati nelle loro opere, altri per come sanno utilizzare al meglio tutto il materiale a loro disposizione dagli attori fino alle colonne sonore perfette. Chi non ricorda “Il signore degli anelli” di Peter Jackson o “Il gladiatore” di Ridley Scott ? L’epicità del “Cavaliere oscuro” di Christopher Nolan o la spettacolarità dei “Transformers” di Michael Bay ? Questi sono tutti registi abbastanza affermati e con un solido curriculum alle spalle, costellato di successi e premi internazionali; non è però di loro che vi voglio parlare ma di un altro regista contemporaneo, un po’ meno conosciuto al grande pubblico e un po’ bistrattato dalla critica.
Si tratta di Uwe Boll. Alcuni non sapranno chi è, ma vi basti sapere che è considerato dalla critica come il “peggior regista professionista vivente” e che il suo incasso più alto è stato quello di “House of the Dead” nel 2003: 13 milioni di dollari. Nulla in confronto ad un incasso medio di un Blockbuster hollywoodiano oppure, per restare nel mondo dei low budget, in confronto agli oltre 190 milioni incassati da “Paranormal Activity”.
La caratteristica peculiare della quasi totalità della filmografia di Boll (che in dieci anni ha girato ben 24 film) è quella di trarre ogni pellicola da un videogioco famoso. Tra i vari adattamenti da lui sfornati ci sono, infatti, titoli come “Alone in the Dark”, “BloodRayne” e il già citato “House of the Dead”. La cosa divertente è che le migliaia di fan dei rispettivi videogame hanno sempre odiato i suoi corrispetivi filmici, accusandolo di aver rovinato molti videogiochi trasponendoli per il grande schermo. Ciò nonostante, Boll, ha continuato nel tempo a dirigere film facendo affidamento sui fondi di una casa di produzione (da lui stesso fondata). Ed è questo che ammiro di lui: la sua passione per la settima arte gli ha sempre permesso di andare avanti, senza tenere conto dei giudizi del pubblico e della critica. Da regista dilettante non posso che apprezzare i suoi sforzi e, pur essendo i suoi film mediocri (ma qualcuno comunque non lo è, anzi è anche divertente), sicuramente è lodevole la sua voglia di spingersi sempre oltre, di voler raccontare storie che lui sentiva dovessero essere raccontate al cinema.
Tra l’altro, il regista tedesco è laureato in economia e in letteratura, non si può quindi dire che sia una persona priva di cultura. Nella sua giovinezza, inoltre, ha praticato la boxe a livello agonistico, cosa che lo porta a prediligere il genere action.
Nel 2006 sfidò apertamente i critici che lo denigravano in un match di boxe, costoro accettarono e persero uno dopo l’altro. La stessa cosa accadde con i suoi detrattori tra il pubblico, nel 2008, quando annunciò che avrebbe smesso di girare film nel momento in cui loro fossero riusciti a raccogliere un milione di firme favorevoli. Le firme non andarono oltre le 150 mila e, poco dopo, Boll sfidò pubblicamente anche il regista Michael Bay (padre di “Transformers” e di “Armageddon”) in un altro match di pugilato, rincarando poi la dose nonostante Bay non avesse accettato.
Nel 2009 ha vinto il premio di peggior carriera nel mondo del cinema. Eppure continuo a simpatizzare per lui, a comprare e vedere i suoi film in DVD, perché non mi sento di parlar male di un uomo che ha preso di petto e affrontato pubblicamente tutte le critiche a lui mosse e che ha girato nulla più di ciò che il suo cuore e la sua mente gli dettavano.
È per questo che auguro una lunga carriera ad Uwe Boll, pittoresco cineasta tedesco, annuncio la prossima uscita di due opere girate da lui (“BloodRayne III” e “Auschwitz”) e vi consiglio caldamente di recuperare almeno due dei suoi film (che si possono considerare, a mio avviso, ben fatti): “In the Name of the King” e “Alone in the Dark”.
Dette queste ultime cose, spero passiate un buon weekend e vi auguro Buona Vita.