di Giacomo Palombino
Ormai da diverso tempo mi considero un componente di quella anonima categoria che, girando i canali televisivi alla ricerca di qualcosa di decente da guardare, è convinta che le reti nazionali propongano programmi e trasmissioni che, con il passare del tempo, divengono sempre più scadenti. Ma la scorsa sera ho avuto una sorpresa: su Rai Tre ho assistito ad un programma musicale al quale prende parte Stefano Bollani, pianista italiano conosciuto a livello internazionale. Proprio lui mi ha dato degli importanti suggerimenti per la scrittura dell’articolo che state per leggere, un’ispirazione di notevole rilievo per la riflessione che sto per affrontare.
La parola chiave è “ripetizione”, e il concetto dal quale voglio partire è quello secondo cui niente nasce dal nulla ma tutto, inevitabilmente, si ripete. Anche la musica è quindi qualcosa che non viene fuori da un cilindro magico che ogni cantante o compositore tiene nascosto sotto il letto, ma prende corpo in base all’ascolto di altra musica, in base alla sua imitazione e rielaborazione, in base quindi ad una continua ed infinita ripetizione. Così d’altra parte non potrebbe non essere. Avete sentito qualche grande artista che diceva che la musica non sarebbe mai finita? Mi dispiace per tutti coloro che la pensano così, ma la realtà è diversa. La musica è esauribile, forse già finita da diverso tempo: le note, dopo tutto, sono dodici, e, a meno che i potenti strumenti informatici del futuro ci permetteranno di percepire suoni ignoti all’orecchio umano, continueranno a rimanere in questo numero per diverso tempo.
Il concetto di ripetizione è così sempre stato proprio dell’arte musicale: anche grandi compositori come Bach sono caduti a volte in questa trappola, suonando battute simili in più brani. La cosa interessante è che in tempi più remoti, a causa della mancanza della possibilità di registrazione, era difficile poter riascoltare sia i propri pezzi che quelli degli altri, e quindi era estremamente probabile suonare qualcosa che già era stato suonato. Oggi invece, grazie ad una tecnologia che è andata ben oltre il semplice cd, noi abbiamo l’occasione di riascoltare, riavvolgere, sovrapporre e fare tante di quelle cose che un Mozart non avrebbe mai potuto neanche immaginare.
È giusto fare un discorso leggermente più articolato. A mio parere sono due i modi in cui si verifica la ripetizione: in maniera volontaria e in maniera involontaria.
Partiamo da quest’ultima. La ripetizione involontaria è quella che si verifica per il motivo già esposto riguardo la esauribilità della musica: successioni di note e accordi si ripetono inevitabilmente. Ricordo con piacere Checco Zalone, che nel suo primo film, trovandosi ad impartire lezioni di chitarra, dice che con il solo giro di Do si può suonare la metà del repertorio di musica italiana. Questa è un’affermazione vera, cosa che forse possono capire in maniera più immediata coloro che suonano uno strumento.
Dall’altra parte, invece, vi è una ripetizione volontaria. Cioè l’artista ripete qualcosa già fatto, già suonato e composto, ma lo fa in maniera diversa, con uno spirito se vogliamo nuovo rispetto a quello che ha caratterizzato la composizione del brano. Bollani ha fatto un esempio particolarmente significativo: ha ricordato che la colonna sonora del film “il Padrino” non vinse l’Oscar perché il suo compositore, Rota, la aveva già concessa per un altro film, dove però la melodia, spero nota a tutti, era suonata in maniera molto più frenetica. Insomma, per farla breve, sto parlando delle famose “cover”, che altro non sono che ripetizioni di cose già fatte da altri o dallo stesso autore come nel caso ricordato. Attenzione: fare cover non significa essere poco originali, ma piuttosto mettersi in gioco con qualcosa che già è stato ascoltato. Molti di voi avranno sicuramente almeno un amico che suona in una cover-band; questo è il modo più frequente e adatto per cominciare a suonare dal vivo, la strada tramite la quale un gruppo ha la possibilità di rintracciare la sua tendenza, la sua vera anima, e quindi comporre basandosi su quelle cover suonate migliaia di volte. Il problema, forse, è che spesso c’è poca originalità nello scegliere i pezzi da suonare, ma penso che continuare a cantare i Led Zeppelin e i Guns N’ Roses sia comunque un buon modo per rompere il ghiaccio con un pubblico di giovani.
Quello che voglio farvi capire è che, se ascoltate un brano che vi sembra di aver già sentito o se vostro fratello suona in continuazione lo stesso pezzo con la sua chitarra elettrica, non considerateli poco originali, ma capite che è proprio tramite la reinterpretazione e quindi la ripetizione che la musica diviene infinita: le note sono dodici, ma il sentimento che le fa suonare cambia da un musicista all’altro.
Vi rimando ad una cover di Antonella Rettore suonata da Bollani: buon ascolto!