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Scorsese e la sua lettera d’amore al cinema: “Hugo Cabret” tra sogni, citazioni e passione

di Marco Chiappetta

TRAMA: Parigi, anni ’30 – Hugo Cabret (Asa Butterfield), ragazzino orfano che vive nel grande orologio della stazione, cerca assiduamente di riparare un automa che il defunto padre orologiaio (Jude Law) aveva trovato in un museo e attraverso il quale, prima di morire in un incendio, gli avrebbe lasciato un messaggio. Insieme all’amichetta Isabelle (Chloë Grace Moretz) scopre il segreto dell’automa che, animato, disegna la famosa icona della Luna con l’astronave nell’occhio del film “Viaggio nella Luna” (1902) e una firma: Georges Meliés (Ben Kingsley), cioè il vecchio e ruvido venditore di giocattoli della stazione, nonché padrino della ragazza, ma soprattutto il primo regista cinematografico della storia, dimenticato da tutti e persino da se stesso. Con l’aiuto del professore cinefilo Renè Tabard (Michael Stuhlbarg), i ragazzini (ri)scoprono la magia del cinema attraverso i film di Meliés e riportano in auge il suo mito.
GIUDIZIO: Martin Scorsese, con la scusa di fare un film apparentemente meno impegnativo per la figlia dodicenne, si serve del bestseller di Brian Selznick “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” (2007) e, per la prima volta, della tecnica del 3D, realizza un film straordinario e davvero originalissimo, non solo un film d’epoca, storico, vecchio stile (grazie alla fotografia di Robert Richardson, e alle strepitose scenografie dell’accoppiata Ferretti-Lo Schiavo, che ha ricostruito la Parigi anni ’30 negli studios inglesi di Shepperton), ma un sincero, sentito, entusiasmante omaggio al cinema, quello degli albori, quello dell’epoca del muto, quello del suo inventore, approfittando del centocinquantesimo anniversario della sua nascita. Sì, perché i fratelli Lumiére, semplici (e geniali, certo) artigiani-scienziati, hanno creato il cinematografo, il mezzo-cinema, dubitando da subito delle sue potenzialità (“il cinema non durerà” dicevano), e filmando la realtà: treni, operai in fabbrica, gente che passeggia. Ma chi ha inventato il cinema, quello che conosciamo oggi, ovvero lo spettacolo cinematografico, quella macchina paradisiaca e sublime di sogni e illusioni, è Georges Meliés: il film è la sua storia, quella di un illusionista geniale che intuisce le potenzialità del cinema, ne inventa estetica e strumenti (montaggio, effetti speciali, scenografie, dissolvenze, colore, persino il 3D), senza guadagnarci nulla, né danaro né fama, per finire i suoi giorni dimenticato da tutti e da se stesso, povero e infelice, giocattolaio prima e, vuole la leggenda, bibitaro nel cinema poi (che beffa, che onta). Il film di Scorsese, basato su un romanzo per ragazzi, si attiene un po’ alla storia vera e molto alla fantasia: e la lettera d’amore per il cinema è scandita non solo dalle immagini dei film d’epoca, ma da citazioni colte (di vita che s’ispira a cinema e sogni, e viceversa), che vanno dai fratelli Lumiére a Meliés, da Harold Lloyd a Chaplin (il monello, la fioraia, il cliché del poliziotto cattivo e ridicolo), da Fritz Lang (gli ingranaggi dell’orologio e l’automa, chiari riferimenti a “Metropolis”) a Tornatore (come in “Nuovo Cinema Paradiso”, il bambino orfano trova una figura paterna in un uomo che vive di cinema e che gli trasmette la sua passione), persino a un film ingiustamente dimenticato come “Charlot” di Richard Attenborough (nel cui finale il vecchio Chaplin presenzia in sala a un plebiscito in suo onore e alla visione dei suoi film), senza dimenticare Dickens e i suoi ragazzini soli e ribelli. È un film che parla di sogni e di cinema, e cattura il senso dell’uno e dell’altro: si vede tutto l’amore, la passione e ovviamente la bravura di un regista stagionato ed esperto come Scorsese, al suo ennesimo capolavoro. Incommensurabili trovate registiche a parte, è un film anche di grandi attori: rivelazioni a parte (i giovanissimi Asa Butterfield e Chloë Grace Moretz), è un altro trionfo per Ben Kingsley, ormai senza dubbio tra i decani di quest’arte, e un’altra bella prova di Sacha Baron Cohen (“Borat”, “Sweeney Todd”), attore troppo eccezionale, troppo espressivo e troppo sottovalutato, perfetto come gendarme ligio e serio, ma anche goffo e innamorato. Una chicca di grande cinema, che se il mondo è giusto (ma sappiamo non lo è) dovrebbe far parlare di sé ai prossimi Oscar. In vista dei quali il film uscirà in Italia proprio a febbraio, e guai a perderselo.
VOTO: 4/5