di Giacomo Palombino
Quasi settanta anni fa un’industria americana di Biscotti, la National Biscuit Company, lanciò sul mercato un prodotto chiamato “ Uneeda Biscuits”, sostituendo i vecchi barili riempiti di biscotti da anonimi fornai. È stato solo il primo passo verso quello che oggi si è soliti definire “commercio di massa”, una prima mossa verso la nascita della pubblicità, mezzo tramite il quale un’impresa porta al centro dell’attenzione dei consumatori un prodotto cercando di farlo preferire ad un altro. Se vi sto parlando di questo è perché negli ultimi giorni è entrata nella classifiche dei brani più cliccati (e nella top 20 di iTunes) un pezzo ideato ad hoc per una pubblicità, quella di Calzedonia: mi riferisco a “Lovely on My Hand”, scritta e musicata da Fabrizio Campanelli.
Un fenomeno di notevolissimo interesse: non solo l’immagine o un marchio a cercare di spingere all’acquisto, ma una melodia; non un semplice jingle o un pezzo preso a prestito da qualcuno, ma una vera e propria canzone.
La cosa interessante è che Campanelli non è solo un musicista, ma si è anche laureato in economia alla Cattolica di Milano con una tesi riguardante proprio l’azione della musica sulla pubblicità. Ad una domanda di Enrico Casarini (fonte “Corriere della Sera”), Fabrizio risponde che emozionare e indurre all’acquisto “sono cose correlate. Il compositore scrive ascoltando se stesso, per poi andare incontro all’ascoltatore”; e spiega subito dopo: “Quando compone su commissione, il musicista diventa come l’attore cui viene chiesto di calarsi in una parte: cambiano le sceneggiature, cambiano le parti, ma l’attore resta se stesso, pur adeguandosi al ruolo”.
La particolarità è questa: il musicista in questo caso non è libero nella composizione, ma tenuto a rispettare quelle che sono le richieste del suo committente, che in questo caso diviene un cliente nel senso proprio del termine. Ma la differenza non è molta. “Il cliente c’è sempre. Per l’artista è il pubblico, mentre per me committente e pubblico sono entrambi da accontentare”, chiarisce Campanelli.
Tutto questo può incuriosire, affascinare, ma non sorprendere. Infatti siamo noi, con la nostra propensione ad amare la musica, a dare vita a questo fenomeno: ciò infatti dipende dalla capacità del nostro cervello a registrare tutto ciò che ascolta, e ancor più quando quello che si ascolta è particolarmente piacevole. Ognuno di noi adora almeno una canzone e sono molti ad abbinarla a momenti particolari della loro vita. La pubblicità (e nel particolare quella di “Calzedonia”) non fa altro che sfruttare questa capacità del nostro cervello: abbinare la musica al prodotto, in modo tale che, quando si pensa alla musica, che può essere tanto una canzone quanto un semplice motivetto, si pensa in automatico anche al prodotto.
È questa una chiara dimostrazione che non solo chi crea musica ma anche chi si limita ad ascoltarla (nella sua doppia veste di pubblico e committente) contribuiscono al successo di un pezzo: l’arte non sarebbe niente se non vi fosse nessuno adatto ad apprezzarla, ricordarla e farla nuovamente apprezzare.