di Giacomo Palombino
Ricordo con piacere una vecchia puntata de “i Simpson” in cui Lisa, guardando l’orecchino indossato dal fratello Bart, definisce questo suo atteggiamento come un modo “conformista e convenzionale” di ribellarsi. Giudizio divertente perché rispecchia, a mio parere, quello che il mondo giovanile di oggi spesso comunica in maniera chiara, e cioè una volontà di essere diversi, di uscire dagli schemi, senza riuscirci pienamente: è questa la morte dell’anticonformismo. Niente di negativo o sconvolgente, ma un dato di fatto. Un jeans strappato, un tatuaggio, un piercing, non costituiscono nulla di nuovo o di sorprendente, ma degli stereotipi già vissuti e rivisti migliaia di volte, che ormai non rendono nessuno più ribelle di quanto non lo possa essere un cane con un felpa a pois( e purtroppo, anche questo non stupirebbe). Ma ci sono personaggi della musica che la ribellione, la rinuncia, la rabbia e lo scontro li hanno vissuti sul serio, sulla loro pelle; non sotto le maschere appariscenti e visibili del mondo dello spettacolo, ma ancor prima di raggiungere il successo.
È questa la storia di John Graham Mellor, nome che a molti non dirà nulla, ma che in realtà altri non è che il celebre Joe Strummer, cantante e chitarrista dei Clash, band della scena punk-rock inglese degli anni Settanta. Joe nacque in Turchia, ad Ankara, dove il padre lavorava come funzionario del Ministero degli Esteri britannico, professione che costrinse l’intera famiglia a viaggiare per diversi paesi, fino alla dimora definitiva, situata a poca distanza da Londra. Ma già da piccolo, il futuro cantante dei Clash non era un ragazzino normale, tanto che dopo una serie di eventi, fra i quali la morte del fratello, decise di lasciare la scuola, per intraprendere una vita da musicista di strada.
Così cominciarono i contatti con il mondo della musica, l’ascolto dei miti del suo periodo, dai Beatles agli Stones, e poi la scoperta, durante un concerto dei Sex Pistols, della sua propensione per la musica punk, genere musicale che cominciava a divenire sempre più popolare.
La storia è sempre la stessa, in fondo, per la maggior parte delle rock star di cui ci ritroviamo a parlare. Ma questo artista ha un fascino particolare, in quanto la sua vena punk non termina nella solita droga e nel solito alcool, ma va oltre quelli che sono i luoghi comuni che caratterizzano le vicende di un rocker.
“Scrivo canzoni di protesta, quindi sono un cantante folk. Un cantante folk con chitarra elettrica” diceva Joe. Ma la sua, a differenza di molte altre, era una protesta vera e sincera, la protesta di chi aveva visto il mondo e conosciuto i suoi misfatti, la protesta di chi aveva abbandonato la scuola per strimpellare la sua chitarra. Già, lui era uno “strimpellatore”, nome d’arte che decise di darsi in quanto non aveva mai avuto una grande abilità come chitarrista. “Potrei ascoltare la sua voce fra un milione di persone e la riconoscerei”, ha affermato tempo fa Max Pezzali. Non era intonato, ma il suo timbro graffiante era parte del suo sentimento di rifiuto e di ostilità verso eventi e temi come la guerra civile spagnola o i crimini delle forze dell’ordine, grido rivolto alla gente affinché riconoscesse i suoi diritti e facesse di tutto per non farseli portare via. Il graffio della sua voce era parte stessa della sua arte.
Non lo definirei un genio della musica: ma ascoltando le testimonianze di celebrità come Bono o Johnny Depp, sono sicuro che Joe Strummer merita un posto fra le stelle della storia del rock. Sono ormai diversi anni che il leader dei Clash (e poi dei Mascaleros) è venuto a mancare, ci ha lasciati nel 2002; ma sicuramente Joe ha avuto il tempo di dirci che il mondo non deve essere vissuto in maniera passiva, ma con la convinzione di avere la possibilità di lasciare una traccia indelebile tramite le nostre vite.
Consiglio la visione de “Il futuro non è scritto”, film sulla vita di Joe Strummer, per chi volesse saperne di più.