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Giustizia, violenza e “celerini bastardi”: “ACAB” dietro l’odio di una società

di Ilaria Giugni

Da ieri nelle sale “ACAB” di Stefano Sollima, trasposizione cinematografica dell’omonima opera letteraria di Carlo Bonini (“ACAB-All cops are bastards”-Carlo Bonini, Einaudi, 16,50 €).
Nel 2009, Bonini aveva narrato una storia vera, tramite la scrupolosa raccolta di documenti, interviste, atti processuali. Si trattava del racconto della reale vita di alcuni “celerini bastardi”, appartenenti al VII nucleo della Celere.
Michelangelo Fournier, lo Sciatto, Drago, Biancaneve, Carletto erano insieme al G8 di Genova, durante i terribili scontri fra tifosi napoletani e romanisti a Roma nel 2001, allo sgombero del campo rom nei pressi di Tor di Quinto, di nuovo nella capitale la notte della morte di Gabriele Sandri per mano dell’agente Luigi Spaccarotella.
I personaggi del film di Solima ricalcano i celerini raccontati da Bonini, ne esprimono i limiti, la spinta ideale, la rabbia, l’odio: Cobra (Pierfrancesco Favino), Mazinga (Marco Giallini) e Negro (Filippo Nigro) sono odiati e hanno imparato ad odiare, canticchiano il motivo ultras “celerino figlio di puttana” quasi per divertimento, perchè sia il sottofondo di ogni giornata di lavoro.
La loro mentalità è ferrea, non conosce deroghe: la difesa del proprio onore e di quello dei compagni ad ogni costo, passino la violenza e la falsa testimonianza.
“Ogni domenica siamo di fronte a gente che se ti va bene ti sputa addosso, se ti va male ti tira addosso di tutto. L’unica cosa a cui pensi è come tornare sano e salvo a casa. Senti il cuore che batte forte, l’adrenalina, la testa che ti scoppia nel casco. Hai solo i tuoi fratelli, solo su di loro puoi contare”, dice Cobra in tribunale, dove deve difendersi per lesioni aggravate ad un tifoso che tentava di scavalcare una transenna.
Eppure i “celerini bastardi” di “ACAB” non sembrano essere anime nere riunite da un’unica divisa, ma prodotti della società che liberano il loro bisogno d’odio in una stessa direzione. Non sono troppo lontani dagli ambienti ultras, spesso ne hanno fatto parte, si trovano solo dall’altro lato della barricata per milleduecento euro al mese. Ne condividono l’odio per i piani alti, per i governanti rinchiusi nei palazzi. I celerini si sentono mandati al macello, a morire come cani, senza che tocchi nessuno degli uomini in auto blu. Per questo Negro urla di fronte al Parlamento “Voi tutti i diritti mi avete tolto però, quando la gente vi vuole menare per tutti i soldi che gli rubate, a noi ci volete per pararvi il culo”.
“ACAB” descrive i celerini a tutto tondo, nella loro umanità e anche nella loro immotivata e cieca violenza. Picchiano duro con guanti per non lasciare impronte per vendicare un fratello. Abusano del loro potere per riparare un torto subito da un amico.
E’ per questo che Spina (Marco Diele), giovane celerino, esclama “Sulla divisa ci pisciate sopra ogni volta che parate il culo a voi e ai vostri amici. Volevo un lavoro onesto e la guardia è un lavoro onesto. Ecco perché sto in polizia”.
Sante parole, vale la pena di vedere il film solo per sentirle pronunciare da “un celerino bastardo”.