di Giacomo Palombino
Nel periodo difficile che l’Occidente vive da tempo, alcuni rintracciano anche una crisi culturale; molti vorrebbero far credere che non è solo lo spread a rimanere fermo alle alte quote individuate giorno per giorno dai vari tecnici, ma che anche l’arte, nelle sue varie forme, stia passando un periodo di allerta. Questo non è corretto; anzi, spesso proprio la tensione, la paura o il timore di non farcela, non sono delle catene che bloccano inesorabilmente un sistema, ma degli stimoli in più. D’altra parte Picasso non avrebbe dipinto il suo “Guernica”, Primo Levi non avrebbe scritto “Se questo è un uomo”, e gli U2 non avrebbero composto “Sunday Bloody Sunday” se non avessero assistito ad eventi tragici, a crisi se vogliamo anche più profonde e sicuramente più violente di quella attuale. Vi ricordo anche che (e vi rimando ad un precedente articolo) la musica dei Beatles e dei Rolling Stones nasce proprio sullo sfondo del movimento studentesco. Insomma, per alzare il livello artistico e culturale di un popolo non occorrano guerre e proteste, ma sicuramente questi avvenimenti non costituiscono degli ostacoli, ma degli stimoli in più, delle ispirazioni straordinarie per gli animi più creativi.
Concentrandoci sulla musica, d’altra parte, è possibile rilevare una sorta di crisi, un momento di non notevole progresso che si protrae già da qualche tempo. Si ravvisa una qualità non scarsa, ma neanche sorprendente della più recente produzione musicale. Si è venuto così a creare un ottimo clima per tutti coloro che provano nostalgia per i vecchi gruppi, per il rock più vero e primordiale: se ci pensate, già scorrendo i vari titoli di questa rubrica, sono molto più numerosi i riferimenti a band del passato che a quelle recenti (e forse questo è dipeso anche dalla mia nostalgia). Ma guardandovi attorno, ascoltando quello che le radio propongono, vi accorgete che in effetti siamo rimasti al passato, siamo ancorati ad una dimensione che, pur non appartenendoci, sembra essere nostra. Musicalmente siamo più affezionati a gruppi che suonavano prima ancora che molti di noi nascessero. Allora è vero, una crisi artistica si sta verificando sul serio? La musica è veramente rimasta a vecchi schemi dai quali non riesce a liberarsi? No, è solo la solita apparenza che inganna, e nasconde una fase di sviluppo che in realtà sta avendo luogo.
Ma per rendercene conto, dobbiamo capire in che modo la musica si evolve, in che modo trova nuove strade da percorrere. L’evoluzione è naturalmente più evidente quando si assiste alla nascita di nuove tendenze; è scontato fare riferimento agli anni Sessanta per il rock o agli anni Ottanta per la disco music. In quegli anni si è chiaramente assistito ad una evoluzione, ma attenzione: non sono nati nuovi generi musicali, ma ciò che già esisteva è mutato ed è stato proposto in nuove forme. Ed è questo ciò che vedremo nei prossimi anni. La sperimentazione nel campo multimediale, in maniera particolare, è lo strumento tramite il quale tutto questo sta avvenendo; non ce ne accorgiamo perché molte di queste novità fanno già parte della nostra cultura e della nostra memoria più recente.
Proviamo però a dire qualcosa di più e azzardare un pronostico: la frontiera in campo musicale è rappresentata dall’arte esotica e orientale, è rappresentata da tecniche e strumenti tradizionali di paesi lontani anni luce un tempo, ma che ora sono dietro l’angolo.
Un po’ alla volta sarà evidente l’evoluzione di un’arte che non è parcheggiata in attesa di qualche genio che la spinga lungo la strada, ma sta solo facendo rifornimento; fra qualche anno, chissà, le future generazioni parleranno non più degli anni Sessanta o Settanta, ma degli anni Venti o Trenta, non dello scorso secolo, bensì di quello corrente.