di Ilaria Giugni
Ieri sera al Teatro Nuovo in scena la Compagnia Punta Corsara con “Il Convegno”, regia di Emanuele Valenti. Non un semplice spettacolo, ma un’azione teatrale: ogni artificio, persino la finzione, è posto ad arte per annientarsi, sembra un tassello per ricomporre sul palco la realtà nelle sue molteplici sfaccettature.
I personaggi discutono e si scontrano al convegno del “FO.S.T.I-Fondazione Sviluppo Territori Infami”, il tema centrale del dibattito è l’annoso problema delle periferie.
A sviscerarlo e decostruirlo un sociologo (Vincenzo Nemolato), un’urbanista (Valeria Pollice), un operatore sociale (Tonino Stornaiuolo) e un politico (Gianni Rodrigo Vastarella), più un moderatore di parte (Mirko Calemme) e un tecnico opinionista per caso (Christian Giroso).
Ad ognuno i suoi cinque minuti di gloria, fatti di teorie avveniristiche e verità incontrovertibili. Peccato che a nessuno interessi davvero andare oltre le apparenze per comprendere e dare un apporto.
Ne “Il Convegno” gli attori della compagnia “Punta Corsara” non recitano più di quanto facciano i personaggi che incontriamo nella quotidianità che essi interpretano sul palco: i politici del “io non c’entro” e “mi sono fatto da solo”, quelli che nella pratica sono carenti ma che oramai ci hanno abbandonato anche nella teoria. Gli esperti che sostengono che gli uomini vadano studiati come animali in gabbia ed etichettati con parole più altisonanti possibili, perché la teoria abbia il sapore dell’autorevolezza.
E poi, un unico germoglio nella desolazione, Giuseppina (Giuseppina Cervizzi), strappata alla sua periferia per essere curata, più sana di chi la vuol salvare. La cui saggia opinione sulle teorie degli “esperti” si riassume in una risata di pancia, che esplode prepotentemente e zittisce.
“Il convegno” è uno spettacolo che richiama spaventosamente la realtà, proiettando lo spettatore nella dimensione tragicomica della società in cui vive, nella quale alcune problematiche finiscono per far da paravento ad altre per volere di qualcuno.
In platea, coloro che “non hanno ancora mai dato segni di perifericità” riflettono e sentitamente ringraziano.