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Festival di Sanremo, da sessantadue anni palcoscenico della musica italiana

di Giacomo Palombino

Anche quest’anno ci sono state critiche, polemiche e commenti, sull’organizzazione, sulla conduzione, sulla scelta delle canzoni, ma il festival di Sanremo è giunto comunque ad una lieta conclusione, festival che conta ormai ben sessantadue edizioni. Non si vuole qui tessere un elogio della canzone italiana, ma discutere di un evento che inevitabilmente tutti gli appassionati di musica dovrebbero ascoltare. Attenzione, ascoltare e non vedere.
Il fenomeno evidente e non desiderato, infatti, è che quello che nasce come un concorso, come un luogo di esibizione e apparizione di canzoni e artisti italiani, è divenuto un vero e proprio show televisivo, dove la musica spesso ha la mera funzione di colonna sonora; la gente sta lì, davanti alle proprie televisioni, a guardare il vestito indossato dalla valletta di turno o l’ospite internazionale della serata e pochi, o comunque un numero meno rilevante di persone, si concentrano su quello che veramente conta in quel momento.
Tutto questo è triste e deludente, se si pensa che quel palco, in sessantadue edizioni, ha segnato la storia della musica del nostro paese, portando nelle nostre case le voci più belle che l’Italia abbia mai ascoltato, da Tenco a Mina, da Battisti a Mia Martini. È vero, il pubblico del festival negli ultimi anni è invecchiato, l’età media di coloro che sincronizzano il loro televisore sul primo canale per assistere al concorso è elevata, e durante le varie serate non sono mancate battute a riguardo; ma di cosa ci meravigliamo? Accade questo perché la musica italiana ha perso le attenzioni di cui godeva prima, e di conseguenza sono i giovani telespettatori a diminuire, non gli anziani ad aumentare. A maggior ragione si dovrebbe sensibilizzare il pubblico ad assistere al festival, quello stesso pubblico che ascolta i “One Direction”, boy-band inglese a tratti imbarazzanti, ma che a quanto pare gode di un enorme successo proprio in Italia; Sanremo sarà per vecchi, ma io credo che la nostra musica faccia meglio di molti “fenomeni” internazionali. Si può dire, in effetti, che le canzoni presentate erano tutte piacevoli da ascoltare, dalla più originale “Un pallone” di Bersani, alla riflessiva “Nanì” di Dalla, alla voce potente di Renga, solo per fare alcuni nomi, per non dimenticare Emma, piazzatasi già lo scorso anno sul podio insieme ai Modà e quest’anno vincitrice.
Buone le canzoni dei giovani, più originali quelle di alcuni, ma nel complesso interessanti; sottolineo in più la mia approvazione per questa categoria del concorso, la quale concede la possibilità di portare all’attenzione voci che altrimenti sarebbero destinate a non avere mai una diffusione mediatica così ampia. In più le modalità di accesso fanno sempre più affidamento su internet, modo ancora più rapido e democratico di scegliere i pezzi, lasciando l’approvazione agli stessi utenti del Web.
Non voglio commentare le parole di Celentano, non la conduzione, non gli ospiti, non sponsorizzare uno show, ma promuovere uno scambio culturale, che è quello che la musica permette di fare. I giovani italiani devono ascoltare la realtà musicale del proprio paese, perché solo in questo modo potranno capire se la canzone straniera è veramente più interessante della nostra. Il trucco per riuscire ad “affrontare” Sanremo ce lo suggerisce Rocco Papaleo, nome che faccio perché con il suo “Basilicata coast to coast” ha dato un contributo straordinario alla sua terra cantando le melodie Jazz di Rita Marcotulli; parafrasando le sue parole, dobbiamo trovare nell’armonia quella nota giusta che ci permetta di far parte dell’armonia stessa, nella quale ciascun italiano ha voce in capitolo. Ascoltate il festival, non è di certo l’inferno!