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“Sognando s’impara” – Capitolo 5

di Brando Improta

“Ci sono più incubi e sogni da svegli
che con la faccia sul cuscino”
Sir Jo

Era una settimana che non avevo più notizie di Ottavio Curato, l’investigatore esoterico, quando finalmente mi chiamò dicendomi di recarmi nel suo ufficio: forse aveva trovato una soluzione per impedirmi di fare incubi.
Andai da lui immediatamente e, quando entrai, lo trovai sorridente che mi aspettava, seduto dietro al suo tavolaccio, con in mano una piccola scatola bianca.
“Allora?” chiesi impaziente. “Stai calmo, non ti agitare” mi rispose Ottavio facendomi segno di sedermi. “Ho trovato mezza soluzione” mi disse cripticamente. Lo guardai dubbioso per un po’ quindi domandai: “Cose significa mezza?”. “Significa che non so come possiamo rispedire gli incubi indesiderati nel mondo onirico…” si fermò a guardare la scatola che rigirava fra le mani, poi continuò: “Però so come impedire ad altre cose di venire da questa parte!”. Mi porse la scatola: era un medicinale comunissimo, un inibitore che permetteva di dormire tranquillamente evitando sogni sgradevoli. L’idea di Ottavio era molto semplice: niente sogni, nessuna materializzazione, quindi basta sorprese sgradevoli.
Sul momento pensai che quella mezza soluzione era meglio di quanto mi aspettassi, ma poi un pensiero si fece strada nella mia testa, e quindi feci ancora una domanda: “In teoria, anche tutto quello che si è materializzato può essere considerato sogno. E se prendendo una di queste pillole scomparisse anche quello che è diventato realtà?”. Il quesito doveva essere buono, perché Ottavio mi rispose trionfante: “Non ci avevo pensato! Allora saresti a cavallo: ti potresti sbarazzare di tutto ciò che non avresti voluto uscisse dai tuoi incubi!”. Fui costretto a smontare la sua allegria ribattendo: “Però potrei perdere anche Bianca”.

Trascorsi la giornata in preda all’ansia: ero combattuto; da un lato ero preoccupato per quello che poteva uscire dalla porta che ogni notte sognavo aprirsi un poco di più, dall’altro non sapevo se interrompendo i sogni avrei perso anche ciò che di più bello avevo.
Approfittando dell’assenza di Bianca, alla quale non volevo far sapere nulla, chiamai Gianni per esporgli il mio dilemma. Mi propose una soluzione abbastanza semplice alla quale non ero arrivato, offuscato com’ero dalla paura di perdere il mio amore. “Sai chi è Benjamin Franklin?” mi chiese mentre gli porgevo una tazzina di caffè. “Certo che lo so” risposi, senza capire dove voleva arrivare, poi aggiunsi “E’ l’inventore del parafulmine, e con questo?”. “Non è solo famoso per i suoi esperimenti con l’elettricità” mi disse, mentre il rumore del suo cucchiaino che girava mi rimbombava incredibilmente forte nella testa, “Era anche un sostenitore delle scelte analitiche: diceva che per prendere una decisione ben ponderata, bisogna tracciare due colonne su di un foglio, una con i Pro e una con i Contro che potrebbero scaturire da una scelta ipotetica, se i Pro superano i Contro allora è la cosa giusta da fare”.
Mi sembrava una buona idea, così presi un foglio e lo divisi a metà piegandolo. “Ti lascio pensare con calma, ci vediamo più tardi”, disse Gianni lasciandomi assorto nei miei calcoli.
Dopo pochi minuti avevo terminato, la colonna dei Pro era ben nutrita: Potrebbe scomparire il bestione che mi cerca, Niente più incubi che diventano realtà, Non saprò mai cosa si nasconde dietro quella porta… e così via per un’altra decina di righi. Nella colonna dei Contro vi era una sola voce, questo, secondo Franklin, significava che la pillola per inibire i sogni coincideva con la scelta adeguata. Chiamai ancora una volta Gianni e gli comunicai l’esito di quell’esperimento, “Sai cosa vuol dire questo?” gli dissi dopo aver riletto la colonna dei Pro, “Che prenderai quella pillola?” domandò lui, “No, che Franklin era uno stronzo!” sbottai e poi continuai “C’è una sola voce contro la scelta della pillola, ma quella voce mi dice che potrei perdere Bianca. Franklin poteva essere anche un grande scienziato, ma i sentimenti non li capiva proprio. Ci potrebbero essere pure un migliaio di pro, ma se quella decisione contrasta con quello che pensiamo, con i nostri principi o con chi ci sta a cuore, allora non c’è calcolo analitico che valga!”.

Stavo seduto dietro allo schermo del mio portatile, correggevo alcuni articoli, quando il mio sguardo si rivolse su Bianca che leggeva un libro stesa sul divano.
Osservavo le dita lunghe girare le pagine, gli occhi luccicanti che ne divoravano il contenuto, i capelli che cadevano leggeri sulle spalle e su un cuscino, il movimento delle sue labbra ogni volta che una frase la faceva sorridere. Una piccola lacrima mi si formò alla punta più estrema dell’occhio e cominciò il suo viaggio: procedeva adagio, quasi come se non volesse andarsene, scorse lungo il naso delicatamente, si fermò un momento a riposare prima della bocca e poi fu uccisa dal mio indice assassino che decise di interrompere quella discesa. Pensai che in quella lacrima era racchiuso tutto il mio amore per Bianca: era arrivato dal nulla e, come con un semplice movimento di mano, potevo distruggerlo.
In quel momento bussarono alla porta, andai ad aprire e mi trovai davanti Gianni e Ottavio. Pare che l’investigatore avesse un’altra teoria, così io e Bianca ci mettemmo vicini ad ascoltare. “Mi hai raccontato di quell’incubo ricorrente” iniziò Ottavio pensieroso, “Sì, e allora?” chiesi senza capire il filo del discorso, “E allora tutto quello che hai sognato fin ora si è materializzato, ma la porta dov’è?”. “La porta è ancora mezza chiusa per fortuna” dissi sorridendo “Finché non si apre non può uscire nulla”. “Non ha senso” ribatté Ottavio “Non può uscire quello che c’è dentro forse, ma la porta credo che sia qui da qualche parte, aperta o chiusa che sia”. Ora cominciavo a capire il suo ragionamento: la porta, in qualsiasi condizione fosse, era pur sempre un oggetto che doveva materializzarsi nella realtà. Bianca rispose come colta da un’illuminazione: “La cantina, non ci andiamo mai in cantina…”.
Scendemmo in cantina in fila indiana. Ottavio era davanti a tutti, essendo il più esperto in materia. La porta era là: semiaperta, immobile in mezzo alla stanza, dal suo interno proveniva una nebbia che riempiva tutta la stanza, sembrava un varco aperto verso un’altra dimensione e, pur non accennando a spalancarsi completamente, non prometteva nulla di buono.
“Non mi sento per niente tranquillo” disse Gianni cautamente, improvvisamente si sentì un colpo secco, poi un rumore di vetri infranti. Guardammo tutti verso le scale che portavano sopra, rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi dissi: “Aspettate qua. Ottavio cerca di farmi sparire questa porta, vado a vedere cosa è successo sopra”, baciai Bianca e salii lentamente le scale.

Entrai in salotto e vidi la porta finestra del giardino fracassata, mi stavo avvicinando con cautela, quando qualcosa mi colpì dietro le gambe facendomi cadere.
Mi voltai rotolando su me stesso e vidi, in piedi davanti a me, con una mazza da baseball stretta nella mano destra, l’energumeno che mi aveva attaccato in chiesa, l’ex di Bianca che finalmente mi aveva ritrovato. Aveva uno sguardo infuriato ed era ovvio che non fosse lì solo per parlare. Provò a colpirmi sul petto, ma riuscì a scansarlo strisciando all’indietro e alzandomi poi in piedi.
Ottavio, intanto, stava osservando da vicino la porta con una lente d’ingrandimento; Gianni e Bianca erano fuori dalla stanza per evitare pericoli. “Non so sinceramente se sia pericolosa o meno” disse il detective posando la lente a terra, “Guarda!” lo avvertì Gianni quasi gridando. La porta cominciò ad aprirsi lentamente, Ottavio si mise dall’altro e provò a fermarla, ma i suoi sforzi erano del tutto inutili. Con uno scatto, la porta si aprì del tutto scaraventando l’esperto contro un muro. La nebbia, che usciva sempre più copiosa dal quel varco, divenne rossa. Gianni e Bianca corsero al piano di sopra.
Lì stavo lottando con la montagna umana, eravamo entrambi molto stanchi e con le nocche quasi fracassate per la quantità di pugni che ci eravamo scambiati. Stavamo per colpirci ancora quando sentimmo passi pesanti venire verso di noi: la stanza fu investita da un vento fortissimo che ci sbalzò tutti per terra. Una creatura con il viso completamente decomposto, del quale si distinguevano solo gli occhi, fece la sua comparsa; avanzava lentamente e rumorosamente, ridendo sguaiatamente e mostrando una dentatura fatta di zanne di varia lunghezza e spessore; artigli lunghissimi e nerastri spuntavano da quelle che dovevano essere le mani. Gianni buttò un tavolo in terra e ci si nascose dietro, lì si trovò a tu per tu con il violento ex di Bianca, anche lui impaurito da quella apparizione. La creatura si mise al centro della stanza, con il vento che le girava attorno fischiando e la sua risata inquietante che rimbalzava da parete a parete. Io e Bianca ci nascondemmo dietro il divano. “Prendi una di quelle pillole” mi urlò Gianni dal suo nascondiglio. “Quali pillole?” mi chiese Bianca mentre si stringeva forte a me, “Queste” risposi estraendo la scatoletta “Inibiscono i sogni, potrebbero far sparire tutto in un attimo!”, “E perché non le prendi?” mi disse lei alzando la voce per farsi sentire in mezzo a quel frastuono, “Perché potresti sparire anche tu! E non voglio che succeda questo, io credo…”, mi interruppi un secondo, poi urlai “Io credo di amarti”, e la baciai. Lei cominciò a piangere ma trovò la forza di dirmi: “Ma visto come si sono messe le cose, potrei morire comunque, prendi quelle pillole” “No!” gridai anch’io con le lacrime agli occhi, “Fallo per me” implorò lei guardandomi dritto negli occhi. Abbracciai Bianca, la guardai ancora un istante, poi presi una pillola e la ingoiai.

La creatura cominciò a mostrare delle crepe, da esse sgorgavano raggi di luce potentissimi che ci costrinsero a chiudere gli occhi, il rumore del vento aumentò, ci coprimmo anche le orecchie con le mani. L’energumeno al fianco di Gianni iniziò a urlare, poi si tramutò in cenere. La creatura si era completamente ricoperta di luce, poi iniziò a trasudare sangue, infine esplose in mille pezzi. Il vento cessò, Ottavio entrò cautamente in salotto in quel momento, Gianni si alzò, io e Bianca ci portammo al centro della stanza. “La porta è crollata” annunciò Ottavio sollevato, “E’ finita!” dissi guardando Bianca, lei era ancora là, era andato tutto bene. La abbracciai e, nonostante la felicità di averla ancora lì con me, la mia attenzione era attratta da alcuni particolari che si facevano strada da soli, sotto forma di pensieri confusi… Il libro su Don Chisciotte è diventato polvere… Bianca mi stringeva forte e questo mi bastava… La cornice con la foto di Montanelli ora è vuota… Bianca mi continuava a stringere, ancora più forte… L’ha fatto per me, per salvarmi… mentre la stringevo sentii qualcosa cedere, Bianca si ruppe in mille cocci di porcellana e io rimasi qualche secondo in silenzio a fissare i vari pezzi sparsi sul pavimento. Mi lasciai cadere sulle ginocchia, affranto dal dolore, iniziai a piangere, raggruppai tutti i pezzi fra le mani, provai a rimetterli insieme, come se questo avesse potuto restituirmi Bianca. I pezzi mi caddero dalle mani, frantumandosi e dividendosi in porzioni ancora più piccole. Mi stesi sulla schiena e cominciai a gridare, continuando a piangere. Non riuscivo più a fermarmi.

“PROLOGO”

“Capitolo 1”

“Capitolo 2”

“Capitolo 3”

“Capitolo 4”

“EPILOGO”